00 27/01/2010 23:43
Scusate il ritardo
Ciao Gianfranco, ti ringrazio di aver sviluppato il binomio malattia/ genialità. Come al solito sei stato ricco di argomentazioni ed esaurientemente. Con piacere osservo che è un argomento che stimola la discussione. Quella che forse il sig. in questione ha scelto di non affrontare.
Ho letto più volte la lettera del sig. Soldani e sinceramente non ci trovo niente di “eretico”, forse gli “eretici” qui siamo noi come associazione che osiamo andare contro il senso comune. Bene sono d’accordo ad andarci, perchè ne vale la pena !
Mi sembra che ci sia, la tipica e generale visione del mondo medico. Quella del medico/malato e non ci vedo niente di strano in questo.
Con alcune frasi, mi sembra anche che provi ad andare al di là della sua posizione.
.. “ nel linguaggio medico cosi’ come in italiano non tecnico, ’soffrire di’ una malattia significa esserne affetti, non significa soffrire ‘per’ o ‘a Soffrire di’ denota una proprietà del soggetto, senza implicarne la reale sofferenza.... La domanda contenuta nel titolo dunque ha un significato che si riferisce non alla sofferenza o al dolore del paziente ma alla presenza o meno della diagnosi di malattia”…e ancora…
“Sostenere che parlare della sofferenza dei pazienti affetti da Tourette sarebbe una delle cause dello stigma e’ infondato come sa bene ogni medico la sofferenza scaturisce dallo stigma, non viceversa. La sofferenza spesso genera, al contrario, sentimenti di solidarieta’ umana.”
“Per la sindrome di Tourette sembra che si possa dunque parlare a buon diritto di malattia tout court, nel senso medico-biologico del termine”.
…“sento di poter rassicurare sul fatto che non avremmo raccolto circa $100.000 con la Tourette Syndrome Association per sostenere la ricerca, se avessimo messo l’accento sui casi magari sfumati di persone che non si considerano malate e che come conseguenza non hanno bisogno di cure. Se non c’e’ malattia non c’e’ bisogno di cercare una cura e non c’e’ bisogno di chiedere fondi per la ricerca”…
Si evidenzia il fatto che se esiste un medico esiste anche un malato. E non si esce da questa logica. Posso testimoniare personalmente, lavorando in campo medico/ psichiatrico, che al medico è complementare la figura di infermiere e non a quella dell’educatore che mette in discussione il modello medico.
Così l’approccio pedagogico mette in gioco altre variabili. La variabile della progetto di vita ad esempio.
“…Altre volte il non sentirsi malati puo’ essere legato al fatto che il disturbo abbia un decorso non progressivo, oppure puo’ essere causato da forme di ‘denial’, di meccanismi difensivi di negazione e di rifiuto della propria condizione che si accompagnano spesso a difficolta’ relative alla definizione di se’ nel bambino. Analogamente a cio’ che accade con certi pazienti ossessivi, il tourettico cerca spesso di mascherare i sintomi della malattia e non cerca aiuto medico…”
“Molte volte, come ci ricorda Sacks nei due casi citati piu’ sopra, il problema e’ che i sintomi e le strategie reattive per limitarne l’azione invalidante diventano parte integrante della vita, dello stile psicomotorio e della stessa identita’ dei tourettici.”
Queste frasi colpiscono in pieno la nostra ferita narcisistica, di cui abbiamo già parlato in altre occasioni sul forum. Queste frasi ci fanno arrabbiare.
Quando la neuropsichiatra di uno dei miei figli mi disse: “Suo figlio è grave”. Le risposi: “ Mi dispiace dottoressa, ma questo concetto che lei ha di mio figlio, io come madre, non lo posso comprendere, non lo capisco, lo rifiuto!”
Questo meccanismo non mi succede,in modo così categorico ad esempio nei riguardi dei miei pazienti.
Ho lottato tanto e con tutte le mie forze affinchè la neuropsichiatra togliesse dal suo pensiero quest’ombra di gravità dal progetto di vita di mio figlio. In quanto non funzionale alla cura del suo paziente a mio parere.