Sai che con la disabilità lavoro da decenni e questo neologismo "
diversamente-abile" anche a me, da quando é comparso, ha sempre trasmesso qualsosa di stridente e di ipocrita.
Più o meno come chiamare lo spazzino "operatore ecologico", quasi che a cambiare le parole si potesse modificare il senso comune.
Al proposito nel mio ufficio ho affisso una vignetta di altan con un soggetto visibilmente anziano e un po' grasso, il quale didatticamente spiega: "
non sono vecchio, sono diversamente giovane".
Ma non sfuggo alla questione che tu poni: nel nostro caso quel neologismo avrebbe senso? Potrebbe essere un modo per definire la nostra condizione?
Direi che un po' sono spiazzato...ci penso, di botta direi che é un errore fare generalizzazioni, nessuno é solo abile e nessuno é solo disabile, o solo malato. L'essere umano in generale sfugge alle definizioni date una volta per tutte...poi io sento come una conquista personale l'aver acquisito il senso del cambiamento, dei processi, e per questo mi sento parte di un respiro più ampio che non si ritrova nella staticità. A volte penso che il bello di ogni equilibrio sia modificarlo e che solo per questo val la pensa di cercarlo.
Diciamo che Eraclito, col suo senso di relatività, lo preferisco a Platone.
Però mi rendo conto che definirsi con troppe parole non aiuta a definirsi.......
Ci penso, pensiamoci.
GFM