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La storia a lieto fine di una Ballerina

Ultimo Aggiornamento: 30/04/2011 13:45
12/08/2008 12:32
 
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Registrato il: 26/09/2007
Ero convinta di essermi presentata come si deve raccontando la mia esperienza e invece mi sono accorta di averlo fatto solo in occasione dei gruppi di incontro, quindi eccomi qui a colmare la mi lacuna. Sono Simona, ho 27 anni e sono coordinatrice per la regione Lombardia.
Avevo 25 anni quando un mattino mentre mi stavo recando al lavoro in auto ho cominciato a sentirmi male. Ho sempre sofferto di mal d’auto quindi all’inizio non ci ho fatto caso, ma poi facevo sempre più fatica a respirare. Più mi affannavo a prendere aria, meno mi sembrava che ne entrasse nei polmoni. Non mi era mai accaduto nulla di simile ed ero davvero terrorizzata. Una corsa all’ospedale e una flebo di valium. Quando sono svegliata il medico mi ha spiegato che si era trattato di un attacco di panico e che sarebbe stato opportuno consultare uno psicologo. IO dallo psicologo??? Ma nemmeno per sogno!!! Non avevo nessun bisogno di qualcuno che si mettesse a scandagliare la mia testolina!
Dopo quell’episodio sono andata avanti per qualche mese senza nessun altro segnale di cedimento. Fino a quando il mio amatissimo micetto si è ammalato e nonostante le cure è morto. Mi sono svegliata nel cuore della notte di nuovo con quella sensazione di soffocamento. Non riuscivo a respirare e in più tremavo come una foglia. Siamo corsi di nuovo al pronto soccorso, ma in quell’occasione non è bastata una flebo di valium a calmarmi. Ho continuato a tremare per tutta la notte, sempre più forte, tanto da far traballare tutto il letto. Ho passato la notte in osservazione, ma la diagnosi è stata la stessa: attacco di panico. Avrei preferito ignorarla, ma non c’era più modo di fermare la mia danza. Ero così ostinata che il giorno dopo sono tornata al lavoro…non volevo saperne di arrendermi. Ma, perso ormai il controllo di braccia e gambe, ho dovuto accettare di vedere un medico. Siamo andati da un neuropsichiatria, il quale, dopo un paio di occhiate severe, ha sentenziato che non si trattava di attacchi di panico, ma di Sindrome di Tourette. Io ne avevo sentito parlare in un episodio di un telefilm americano, ma le mie conoscenze non andavano oltre il nome della sindrome. Alla richiesta di informazioni da parte dei miei genitori ha risposto aprendo un librone sulla pagina contenente la definizione di Sindrome di Gilles de la Tourette: una lunga serie di paroloni per noi priva di senso. Inutile sperare di avere delucidazioni, si limitava a rileggere quelle poche righe. In compenso, poco prima di uscire dal suo studio avevo già ingoiato una pillolina rosa che giorno dopo giorno ha placato quel moto scomposto di cui ero ostaggio. Insieme ad esso, però, aveva spento anche tutto il resto. Passavo le giornate a dormire e anche in quelle poche ore in cui riuscivo a stare sveglia ero assente. Il medico diceva che era solo questione di tempo che nel giro di una, massimo due settimane, mi sarei abituata alla cura e sarei tornata alla mia vita quotidiana. Nel frattempo dovevo uscire, fare lunghe passeggiate, pretendevano persino che guidassi l’automobile! Passò quasi un mese, senza nessun significativo miglioramento. Anzi, andava sempre peggio. Il medico continuava ad aumentare le dosi dei farmaci che mi aveva prescritto. Io avevo sempre più paura, c’erano sempre più cose che mi spaventavano e che rifiutavo di fare. Non volevo più saperne di prendere ascensori, né di salire in auto con persone che non fossero i miei genitori o Jacopo, il mio ragazzo. Bastava una sciocchezza a scatenare il panico e così piano piano stavo riducendo il mio mondo al salotto di casa.
Io ostaggio del mio corpo impazzito e di mille paure, mamma e papà in preda allo smarrimento e alla disperazione. Loro non capivano e io non sapevo come spiegare che tutto ciò che il mio corpo faceva non dipendeva dalla mia volontà. Che se il terrore mi impediva persino di scendere da una sedia non era per pigrizia o per mancanza di carattere, ma perché ero certa che se mi fossi mossa da lì il mondo si sarebbe distrutto.
E’ stato Jacopo che, navigando in Internet, ha trovato questo sito. Ha chiamato e siamo stati subito accolti con interesse e partecipazione. Nel giro in un paio di giorni da quel primo contatto mi hanno portato a Segrate da Gianfranco. Non ricordo molto di quel periodo, ma ho ben impresse due sensazioni che ho provato in occasione del primo incontro: la sua stretta di mano calorosa e rassicurante e lo sguardo amorevole che posava su me e sui miei genitori.
La sua chiarezza e la sua franchezza ci hanno conquistato: con parole semplici ci spiegava cosa mi stava accadendo, senza illuderci che tutto potesse risolversi magicamente in un paio di settimane. Ricordo il suo pronostico: Simona, ci vorrà un annetto, ma se ti impegni, insieme ce la faremo. E così abbiamo iniziato. Tutto da capo. Giù a quattro zampe per imparare per la prima volta, io che non l’avevo mai fatto da piccola, a gattonare. Che fatica mettere insieme le braccia e le gambe. E che male le ginocchia! Avanti e indietro per il corridoio di casa con mamma che ripeteva: “Ancora cinque minuti, Simo, solo cinque minuti”. “Cinque minuti! Ma hai idea di quanto sia faticoso?”…però lo consiglio a tutte le signore con il pallino della linea: mai avuto un sedere così sodo!
Poi la sera, dopo il duro allenamento, le coccole di mamma che mi scaldava con il phon alcuni punti indicati da Gianfranco e mi massaggiava con un apparecchio che produceva vibrazioni che lentamente scioglievano la tensione.
A questi esercizi che dovevano rimettere in bolla il mio sistema nervoso abbiamo affiancato la terapia farmacologia, ma con la promessa da parte di Gianfranco che sarebbe stato solo per il tempo strettamente necessario. Con il dott. Mansi abbiamo concordato subito un cambio di farmaci. Bisognava eliminare al più presto la pillolina rosa che su di me produceva più danni che benefici e togliere quelle gocce usate per la cura dell’epilessia che proprio non andavano bene. E’ stata dura, lo ammetto, ma ho sempre accolto con entusiasmo le proposte di diminuire il dosaggio di farmaci. Gianfranco era sempre molto chiaro e preciso: “Simo, se te la senti, si può fare, ma devi sapere che dovrai sopportare i pesanti effetti della crisi d’astinenza da farmaco per due o tre settimane”. E puntualmente andava proprio come aveva detto. Mi seguiva passo passo: lo chiamavo quasi ogni giorno per aggiornarlo sugli sviluppi e se per caso ritardavo un po’ telefonava lui per sapere come stava andando.
Sin dal primo incontro mi ha chiesto di tenere un diario con il racconto dettagliato delle crisi. Ricordo che all’inizio facevo una fatica tremenda a scrivere perché non riuscivo a gestire bene i piccoli movimenti che la mano deve fare per disegnare le parole, ma riempivo ugualmente pagine e pagine raccontando ciò che era successo durante la giornata. Poi portavo a Gianfranco il mio malloppo di fogli che lui leggeva e rileggeva riempiendoli di appunti. Faceva mille domande sul perché della scelta di un termine e su ciò che non avevo scritto ma che lui riuscivo comunque a capire e poi, messi insieme tutti i tasselli, mi spiegava l’origine di ogni crisi.
Un altro lavoro che abbiamo fatto insieme e che mi è servito tantissimo è stato quello sulle paure.
La psicoterapeuta che avevo visto qualche volta mi obbligava ad affrontarle di petto. Paura dell’ascensore? Mi ci chiudeva dentro.
Gianfranco, invece, era di tutt’altro avviso: dovevo affrontarle, ma molto gradualmente. Mi ha insegnato a fare un esercizio per governare il pensiero visivo che mi fa vedere incidenti, tragedie, morti e feriti ovunque. All’inizio lo facevo per iscritto, poi piano piano è diventata un’abitudine e adesso lo faccio in automatico ogni volta che mi spavento per qualcosa.
C’è voluto tanto impegno, ma in un anno abbiamo fatto un bel percorso. Ricostruendo l’infanzia e l’adolescenza ci siamo accorti che c’erano già stati diversi segnali anche se la TS non si era mai manifestata così palesemente. E’ stato un viaggio alla scoperta di Simona…piano piano tutte le tessere hanno preso il loro posto nel puzzle e uno ad uno abbiamo raggiunto tutti gli obiettivi che ci eravamo posti.
Nel frattempo anche la mia vita ha ripreso il suo corso. Sono tornata al lavoro dopo tre mesi, all’inizio con qualche difficoltà nel presentarmi in ufficio puntuale ogni giorno. Per fortuna ho potuto contare sulla comprensione dei colleghi che mi hanno sempre aiutata durante le crisi e trattata normalmente quando invece stavo bene.
Sotto la supervisione di Gianfranco, che mi ha sempre spronato a non rinunciare a i miei sogni nonostante mi sembrasse impossibile realizzarli, io e Jacopo abbiamo messo su casa, siamo andati a convivere e dopo qualche mese abbiamo deciso di sposarci, proprio il 2 giugno, la data che avevamo scelto in quinta elementare. E adesso c’è già un futuro nonno che reclama due gemelli…
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