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La nostra storia

Ultimo Aggiornamento: 12/12/2008 00:10
29/03/2008 17:50
 
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Registrato il: 17/07/2007
...
La nostra storia molti di voi già la conoscono da illo tempore, ma quello che mi accingo a raccontare è presente solo a pochissimi e non per intero.

…Il precedente anno scolastico cioè 2006/07, per noi ha avuto uno scorrere non troppo normale.
Infatti il nostro ragazzo, a seguito della licenza media, conseguita con distinti voti, decise di iscriversi al liceo classico, un po’ per sua scelta e un po’ per la giustificazione che gli insegnanti diedero al suo studio e ai suoi risultati.
I primi test di ingresso al liceo, prospettarono un magnifico proseguo, infatti visti gli eccellenti voti, con Lella non facemmo altro che complimentarci con lui dicendogli che effettivamente aveva delle qualità e delle basi che sicuramente avrebbero fatto di quel corso di studi, un percorso importante e scorrevole.
Non trascorse molto tempo, iniziarono i primi intoppi con i nuovi compagni di classe e le prime scaramucce per accenti nel suo fare.
Ci fu qualche litigio, cominciò a non comunicare in maniera spedita con i compagni, a non dedicare più tanto interesse alle lezioni, le prime assenze che poi si moltiplicarono, i colloqui con gli insegnanti, tra i quali alcuni dopo le nostre spiegazioni capirono, altri assolutamente no, sino a quando a seguito delle ripetute assenze, gli proponemmo di ritirarsi per presentare il programma di studi in privato.
Accettò con sua ferma convinzione e confermò che questo avrebbe fatto.
Le giornate a casa iniziarono a scorrere lente e senza interesse alcuno.
Iniziò a non frequentare più i suoi compagni, gli amici, lo sport.
L’unico svago diventò il computer, giochi di ruolo che iniziavano la mattina e terminavano a notte fonda.
Le liti con noi erano estenuanti e, con tanta fatica, cercavamo di spiegargli che quello non era modo di confrontarsi con la realtà ecc ecc.
Insomma decise di non presentarsi neanche in privato e perse l’anno.
All’inizio dell’estate scorsa, rinizia a frequentare gli amici, ma è a disagio, soprattutto perché molti dei suoi, non capendo il suo atteggiamento nei confronti della scuola, nella quale era sempre stato uno dei più bravi, senza la minima fatica apparente, gli rimproveravano il suo fare.
L’estate scorre anch’essa lenta e senza che nessuno della famiglia si rilassasse un solo attimo: lui compreso.
A seguito di un incidente con lo skate si frattura e trascorre più o meno tutta l’estate con il gesso.
Alla fine della bella stagione decide di cambiare corso di studi per frequentare con qualche suo amico, ma dura solo qualche giorno.
Chiede ancora un trasferimento ed un altro ancora nel giro di due settimane e senza aver frequentato non più di cinque giorni.
La situazione in casa è tragica, gli scontri verbali con lui si accentuano sempre più, sino a diventare separati in casa: diventa una normalità lo scontro e il subire accenti pesanti.
Ormai la scuola non ha nessuna importanza per lui, così pure le compagnie, la comunicazione, l’ incontrare altre persone.
Tutto ruota intorno al computer, internet e giochi di ruolo.
La convivenza con lui è arrivata a livelli odiosi, le parole nei confronti miei, della mamma e della sorellina, sono disgustosi e sempre più offensivi.
Facciamo più volte riferimento alla clinica NPI che lo ha sempre seguito e spieghiamo chiaramente che non si può più continuare a vivere in questo modo.
Nel frattempo, i suoi accenti riferiti alle compulsioni, diventano sempre più frequenti e predominano la totalità delle giornate.
Pesta i piedi sul pavimento in un modo atroce, sfascia le cose, i danni in casa ormai non si contano più.
Ogni giorno che si torna a casa, si ha il terrore di quello che si potrebbe trovare.
La disperazione è tanta.
Non esiste più giorno e notte: sono un tutt’uno.
Quando noi ci alziamo per andare a lavoro, alle sei circa, lui sta andando a dormire per risvegliarsi alle dieci al massimo, per restare sveglio sino alle sei dell’indomani mattina.
Le cure farmacologiche che sono ormai tante, si susseguono senza alcun risultato.
Per disperazione chiamiamo Gianfranco, viene da noi, lo incontra e fa delle considerazioni.
Da quel momento iniziamo a prendere in seria considerazione quanto detto e ipotizzato da Gf.: allontanare nostro figlio dal nucleo familiare per permettergli e per permettere a tutti noi, di prendere un po’ di fiato e ricollocare i tasselli nel modo giusto.
Nel frattempo le cose continuano a complicarsi.
Viene ricoverato perché la sua situazione compulsiva e oppositiva assume tratti veramente preoccupanti.
Cambia ancora terapia.
Gli scontri in famiglia sono bruttissimi, verbali, ma da lì a breve prendono forma anche quelli fisici.
La frustrazione è tanta.
La nostra disperazione raggiunge livelli veramente alti.
Non riusciamo più a controllare nulla.
La nostra famiglia, che era sempre stata una famiglia unita, affettuosa e affiatata, prende connotati strani.
Le notti per me, diventano momenti di pianto e disperazione.
Ormai lo guardo in modo veramente strano, quasi fosse un estraneo: un corpo con un male grave e irrisolvibile.
I suoi pestamenti si fanno sempre più accesi, da arrivare a procurare in casa, danni veramente importanti nel bagno, in cucina e in camera sua.
Gli scontri con i vicini che vengono ripetutamente a casa, urlando il nostro trasferimento per il bene di tutti i condomini diventano un altro motivo di stress, arrivano a considerare a voce alta che la vera causa dei problemi di nostro figlio eravamo noi.
Lella che con la solita flemma, cerca di sedare gli animi, lui che dalla sua camera sente tutto, i vicini che continuano ad infierire su Lella e alla fine, non reggo più ed esplodo urlando come un folle che esce indenne da un incendio.
Urlo suggerendo di denunciarci per rumori molesti, insisto pesantemente.
Mai avrei immaginato di poter arrivare a tanto.
Il risentimento per quello che è stato detto è tanto, essere sceso a quei livelli, ma la sofferenza più grande, è quando mio figlio citando l’accaduto, giustifica i vicini, asserendo che sopportare i suoi pestamenti non è facile, ma che purtroppo, pur volendo, non riesce a controllare.
La notte piango, mi giro e mi rigiro, e continuo a pensare che il suo allontanamento da noi sia ormai una cosa indiscutibile e senza altra via d‘uscita.
I nostri tentativi sono stati tanti e nessuno ha prodotto il ben che minimo risultato.
La clinica di NPI ci propone una comunità, dove lui potrebbe, secondo loro, trovare un po’ di pace.
In quel periodo ci siamo isolati completamente dal forum, dagli amici veri e virtuali per combattere quella battaglia da soli, io e Lella insieme.
Quasi che quella sfida non potesse essere condivisa con nessuno, non per incomprensione, ma perché l’attenzione era talmente alta da non avere altre energie per dover giustificare nulla.
Qualcuno di voi era al corrente di cosa si consumava qui da noi, ma non ci sentivamo di parlarne.
Avevamo anche cercato di vedere altre soluzioni, tipo cambiare casa, prenderne una in affitto in luoghi un po’ isolati, con tutti gli annessi e connessi, ma la tensione continua alla quale quotidianamente eravamo costretti era talmente forte, che qualunque operazione sembrava insormontabile.
Inizia il bello: come se non bastasse!
La clinica individua questa comunità, come detto, gestita da giovani specialisti in psicologia e altre discipline, che non ha mai avuto ospiti con Tourette, ma nella sua lunga storia ha avuto e accoglie anche diversi casi di ADHD, e qualche altro caso con problemi comportamentali.
La comunità si trova a circa 140km da Cagliari, in una zona molto bella della Sardegna, per gente e usanze: l’Ogliastra e si chiama l’Olivastro.
E’ una struttura che comprende quattro case di accoglienza e sono organizzate per età e problemi degli ospiti.
E’ una struttura privata e collabora molto con i centri specialistici di Cagliari, Sassari, e Nuoro.
La stessa clinica, vista la situazione ormai molto compromessa, prepara una relazione che invia alla ASL di competenza, spiegandone la gravità e l’urgenza.
La ASL prende atto della richiesta/proposta e decide di convocare me e Lella per un primo incontro.
Al primo colloquio veniamo accolti da una NPI che si presenta molto bene e, nonostante siamo ormai veterani di questi incontri, riconosciamo la sua disponibilità ad accettare la nostra storia : restiamo molto colpiti positivamente e il tutto sembra prendere connotati che porterebbero il trasferimento di nostro figlio nella comunità, da lì a poco tempo.
Successivamente veniamo contattati ancora, ma questa volta partecipano quattro specialisti, tra i quali una assistente sociale, che pur avendo avuto altre occasioni simili con altri casi Tourette, a suo dire, si mette in una situazione di triangolazione tra noi e gli specialisti, per modi e tono, abbastanza irritanti, ai quali io purtroppo pongo degli accenti in maniera molto vistosa e quando sollecito i tempi di soluzione di questa storia, mi sento rispondere che non prevedono assolutamente nulla, in quanto devono iniziare tutte le pratiche per conoscere bene tutta la nostra storia, visto che noi mai abbiamo fatto riferimento a loro se non in quel momento.
Sottolineando che mai abbiamo pesato sulla ASL, perché siamo sempre andati da specialisti in privato, vado su tutte le furie, rivedo scorrere nella mia mente tutti i momenti in cui il rapporto in casa con nostro figlio ha rasentato eccessi molto brutti e quando mi sento dire che comunque la scelta fatta dalla clinica per loro non era la definitiva, ma dovevano valutarne anche altre, pur non sapendo nulla di Tourette; decido autonomamente di portare avanti la battaglia da lupo: senza esclusione di colpi.
Solo allora mi rendo conto di quanto dovrò lottare per portare a compimento il progetto della clinica di NPI.
Pensate, giorni di stress inimmaginabile, per durata e intensità, fuori e dentro casa.
I nostri scambi con i diversi centri responsabili, cioè interessati alla soluzione del problema, diventano intensi, continui, spigolosi, taglienti.
Ci muoviamo a 360°, cerchiamo di movimentare il più possibile, anche perché siamo prossimi a Natale e immaginiamo che probabilmente il trasferimento di nostro figlio presso la comunità, avverrà solo dopo le feste.
Pensate che nel frattempo, a nostro figlio la ASL, gli aveva già comunicato in un incontro congiunto, che la soluzione momentanea sarebbe stata appunto quella di andare in una comunità.
Lui giustamente non accetta di buona lena la cosa e in famiglia le cose continuano ad essere sempre più in attrito.
Più volte cerchiamo di far intervenire la clinica perché ormai tutto è fuori controllo.
I miei scambi con lui sono solo per ricordargli l’ora di spegnere il computer, non esiste più nessuna forma di comunicazione.
Andiamo addirittura alla Regione, in assessorato alla sanità per chiedere che la questione assuma tempi naturali, vista la segnalazione di urgenza.
Interviene positivamente e in modo molto solidale la CGIL regionale sarda con il suo segretario generale, molto attento: la cosa si muove.
Finalmente, dopo circa un mese di battaglia, la ASL ci comunica che avevano optato per la comunità segnalata dalla clinica (l’Olivastro) e che dall’indomani, cioè un giovedì, avremmo potuto accompagnare con loro, nostro figlio.
Sapevamo benissimo che questa forma avrebbe peggiorato in modo irreparabile la scelta fatta per nostro figlio, l’avrebbe letta come un complotto per liberarci di lui e non come un’azione di stop temporanea e costruttiva come invece era.
A quel punto decidiamo con lui di andare in comunità il sabato mattina.
Non vi dico l’ansia che era presente in casa, la si poteva tagliare a fette, tanto era compatta.
Il venerdì si scatena in un concerto di pestamenti e sbattimenti da far paura anche a me…giuro!
La mattina successiva, si sveglia e si prepara come se avesse scelto di affrontare la situazione da governante e non da governato.
Non sto qui a raccontarvi i particolari, le parole, le mie lacrime interne, costretto a nascondere quelle vere, quando invece avrei voluto farle scorrere liberamente per avere un po’ di pace interiore.
Volevo piangere tanto di continuo e magari per giorni…l’avrei fatto se solo avessi potuto, ma dovevo ancora vestire quei panni di padre, di lupo che scaccia i propri cuccioli, quando stanno diventando grandi e sono piccoli per creare un nuovo branco, ma troppo grandi per continuare a rispettare le regole del branco in cui sono nati.

Il viaggio dura circa due ore.
La giornata era cupa, il sole quasi per farci un dispetto, proprio quel giorno non spuntava e la temperatura era rigida, prometteva neve.
Arriviamo a Lanusei, così si chiama il paese, ed inizia a fioccare in maniera copiosa.
Arriviamo all’Olivastro e dopo una semplice presentazione, veniamo accompagnati nella casa che per nostro figlio sarà la sua nuova residenza.
Straziante vedere quella scena, nonostante tutto fosse molto accogliente, gli educatori, gli altri ospiti che scrutavano con molta attenzione ogni minimo movimento; l’aria e il momento per me e Lella era veramente difficile da controllare emotivamente.
Ebbene, proprio in quel momento, scrutando gli occhi di mio figlio, non noto disperazione, angoscia, paura, ma voglia di fare e far vedere: come dovesse affrontare chissà quale sfida.
…Salutiamo tutti e in silenzio ripartiamo verso casa.
Con mia moglie parliamo, poco, ma tutto era orientato al pensiero di come lui in quella circostanza avrebbe reagito, trattenevo a stento la commozione.
Una volta a casa, la troviamo vuota, deserta, quello tanto desiderato appare come una sofferenza: il silenzio assoluto.
Ormai è il 15 dicembre, il clima è di festa, la festa delle famiglie, giorni da trascorrere con i propri cari e ne soffriamo, ma ormai la scelta era fatta e non avremmo dato un buon esempio neanche a lui se avessimo rimandato a dopo le feste il suo trasferimento.
L’impegno era troppo per spostare anche di un solo giorno quella partenza.
Ci saremmo screditati ancora ai suoi occhi.
Avremmo messo in pace il nostro animo di genitori, ma probabilmente non saremmo stati coerenti con lui e per il bene dei figli, a volte, queste azioni pur dolorose, necessitano.


Passano i giorni, iniziamo a prendere coscienza della cosa e ad accorgerci di quanto danno quel rapporto avesse comportato nella nostra famiglia.
Riprendiamo i rapporti con la npi della ASL e dopo aver chiarito le difficoltà di comunicazione sentite durante i loro incontri, scegliamo di fare comunque terapia di coppia, come anche in clinica NPI ci avevano consigliato.
Le notizie che ci arrivano da Lanusei sono positive, il nostro ragazzo si è integrato alla velocità della luce e tutti i componenti gli vogliono molto bene.
Finite le vacanze di Natale nostro figlio sceglie in comunità di iscriversi a scuola, al liceo scientifico.
Trascorrono i giorni e dopo circa 30 giorni dal suo arrivo all’Olivastro, lo incontriamo a Lanusei per la prima volta.
L’agitazione è tanta, per prima cosa facciamo un colloquio con la npi del luogo, che si occupa dei colloqui e la terapia con nostro figlio.
Tutto sembra molto positivo, ci segnala i suoi dubbi (di nostro figlio) le sue considerazioni, i suoi progetti: tutti molto importanti e degni di profonde considerazioni da parte nostra.
Il colloquio con alcuni suoi educatori è molto positivo e segnalano la forte nostalgia di nostro figlio per la mancanza della famiglia intera… che commozione, sentire di essere ancora importanti per lui, nonostante gli scontri accesi e taglienti.
Finalmente ci incontriamo e subito ci si rende conto di quanto quel soggiorno in comunità abbia prodotto i suoi frutti.
Quasi subito chiede a me e a mia moglie di accompagnarlo a fare qualche acquisto, cosa che sino a qualche settimana prima era puro tabù.
Quell’oretta che abbiamo trascorso con lui, è stata sufficiente per leggere nei suoi occhi, quanti progressi avesse fatto e quanto fosse impaziente di farcelo notare: pur senza parlare esplicitamente.
Lo abbiamo riaccompagnato in comunità e abbiamo fatto rientro a casa.
In quelle due ore di viaggio, con mia moglie abbiamo analizzato ogni attimo dell’incontro, rielaborato ogni parola, ogni frase, ogni suo respiro.
Le settimane hanno ripreso a scorrere liete, il nostro incontro con la terapeuta è ripreso e si è parlato molto dell’evento.
Continuiamo a sentire nostro figlio per telefono ogni settimana, sino a quando, dopo circa due settimane, esplicita il desiderio di tornare a casa, almeno per un giorno.
Inizia la mia tensione.
Mi tornava in mente tutto il fracasso che produceva in casa, gli sbattimenti, i versi, i pestamenti con i piedi sul pavimento: gli scontri feroci.

Una domenica mattina, mi alzo presto e vado a Lanusei per prenderlo.
Subito noto la sua postura, dritta, corretta, curata in ogni particolare, compresa la cura della sua persona, che prima era diventata una cosa rara..
Tutti i compagni della comunità si presentano, quasi a confermare la loro solidarietà per l’evento e forse per essere certi della mia presenza.
Il viaggio è veloce, ascolto ogni minima vibrazione, anche il battere del suo cuore.
Parliamo abbastanza, ma è come se cercasse di trasmettere qualcosa e io cercassi continuamente conferma a ciò.
Quando siamo arrivati a casa, lui ha salutato Lella, la sorellina e si è catapultato in camera sua, quasi a voler controllare che tutto fosse come lui immaginava.
Infatti, avevamo risistemato ogni segno del conflitto: buchi nei muri, mobili rotti, cassetti distrutti, risistemato e pitturato la stanza, insomma nulla si leggeva del periodo passato.
Ci guardiamo negli occhi, profondamente e ci abbracciamo: come fosse un incontro tra padre e figlio, tra un vero padre e un vero figlio: mi commuovo e mi accorgo di essere vecchio, novantenne.
Non esito un secondo a contraccambiare l’abbraccio con la stessa forza e capisco che è cambiato, posso cedergli il testimone e stare sereno.
Trascorre le poche ore con noi, subito cerca gli amici, li vuole incontrare.
E’ come se dovesse ripresentarsi al mondo intero con la nuova veste, anzi con la veste che aveva prima di stare male e che tutti conoscevano e apprezzavano: quel bravo ragazzo che quasi non ricordavo più.
Non esita a parlare con gli amici e dire che la sua assenza è dovuta al trasferimento in comunità.
Lo presenta come un traguardo raggiunto, consapevole che agli occhi dei vecchi amici, nulla farà pensare se non in bene.
Ne sono fiero.
Lo osservo con attenzione, certo di non essere visto: mi commuovo tanto.
Quasi mi sento triste per averlo dovuto allontanare da casa per farlo stare meglio.
Rispetta l’orario dell’appuntamento per rientrare a Lanusei, preciso, cosa mai accaduta prima.
Ha rivisto un gruppo di amici e amiche, ora può presentarsi nel suo splendore di adolescente, spalle larghe, postura corrette e soprattutto riflessivo e attento ad ogni sentimento.
Proprio quando il gruppo si fa numeroso, deve lasciare per ritornare in comunità.
Noto il dispiacere, ma anche la forza d’animo che è presente nelle considerazioni: esse fanno più male a me che a lui e ne siamo consapevoli entrambi.
Quando arriviamo in comunità, non vuole essere riaccompagnato al suo interno: capisco il suo stato d’animo e interpreto che la commozione dei saluti è tanta, anche per noi, accetto, capisco e faccio come richiede.
Il rientro con Lella è molto carico di riflessioni e considerazioni positive.
Ormai prendiamo atto che anche lui, il nostro piccolo è cresciuto.
Le settimane che seguono scorrono serene e piacevolmente affascinati dai progressi che fa e che ci segnalano puntualmente dalla comunità: questo ci rassicura.
Essi stessi ci chiedono come lo abbiamo trovato, quasi a conferma delle loro positive considerazioni dopo solo 45gg di soggiorno.
I tic sono spariti, quasi del tutto e quel minimo segnale che emette, fai fatica a coglierlo.
Non pesta e lo dice.
La terapia farmacologica si è ridotta a 13gg al dì di haldol: una sciocchezza se pensiamo a tutto quello che doveva buttare giù prima e senza nessuna variazione comportamentale…anzi!


Dopo tre settimane, parlando al telefono, ci esprime con chiarezza di voler tornare a casa per dormire almeno una notte.
Come non accontentarlo…i progressi ci sono, è attento ed è giusto per noi e gli educatori, riconoscergli i progressi raggiunti.
Nuovo viaggio, nuova storia.
Questa volta però il viaggio di ritorno a casa è molto più profondo, le considerazioni sue pure e l’attenzione al dialogo è forte.
Discutiamo tanto, di tutto, dei suoi sentimenti, delle sue debolezze, delle sue aspettative: mi chiede di Gf, strano visto che non aveva mai osato parlarne chiaramente e, positivamente considera.
Ne sono affascinato.
Mi riconosco in lui.
Lo riconosco nella sua integrità affettiva, quasi come se il trascorso non lo avesse segnato minimamente.
Comunque, arriviamo a casa, vuole uscire con Lella per acquistare un pantalone nuovo e un giubbotto.
Piacevole, anche perché ultimamente, cioè prima di andare in comunità, non accettava più neanche la compagnia della mamma e gli abiti non avevano nessuna importanza.
La serata scorre serena e felicemente consapevoli che durerà poco, ma sarà intensa.
La notte, prima di andare a dormire chiede a Lella dei massaggi alla schiena, come quando era piccolo: che gioia.
Sembra che il rapporto con la mamma non sia cambiato, la cerca ancora per le coccole che gli mancano.
La domenica successiva, si alza presto, comunica con internet, riallacciando i contatti con i suoi amici e prende appuntamento per il pomeriggio.
E’ cambiato profondamente.
Il suo parlare è appropriato, sereno, consapevole, sicuro.
Sembra il ragazzotto che avevamo perso chissà dove e lo abbiamo ritrovato.
Qualche scaramuccia con la mamma prima di ripartire, quasi non vogliano salutarsi con pianti e abbiano scelto il conflitto come ultimo saluto.
Soffro nel vedere quelle schermaglie brevissime, atte a darsi un nuovo addio.
Quando risaliamo in macchina per il viaggio, da subito inizia a parlare della sua storia, del suo vissuto in casa prima della comunità e io, approfittando del buio della notte, lascio scendere alcune lacrime, in silenzio: molto dolorose.
Parliamo tanto delle nostre liti, dei nostri scontri e incontri incompresi, delle sue persone care, della sua nostalgia per la famiglia che adora e delle sue amicizie che tanto gli mancano.
Cita persino la vecchia scuola che pure gli manca e che non gli sarebbe costato nulla recuperare un mese e mezzo di assenza: non avrebbe dovuto rinunciare a tutti gli affetti per andare a Lanusei.
Mai un rimprovero nei miei confronti, in quelli di Lella, per come abbiamo condotto la vicenda.
Anzi, consapevolmente, riconosce che non c’era altra via d’uscita.
Parla serenamente delle esperienze in comunità, dei compagni, anche di quelli di classe e di quelli della scuola, che spesso deve affrontare perché deriso in quanto componente della comunità: il diverso.
Questo a lui fa tanto male, mai prima d’ora aveva dovuto affrontare da solo questi conflitti, noi anche se con poca sua riconoscenza eravamo presenti, ora invece, questi aspetti della vita li deve affrontare da solo: come i lupi che crescono.
Fa diversi riferimenti al nostro vissuto, io come padre e lui come figlio, mai intercalando offese, recriminazioni o rimproveri.
Rifletto in silenzio, durante il suo parlare pacato e sincero, prima che rivolga a me qualche domanda, piango e lui si accorge, ma non dice nulla.
Mi dice di aver cercato la lettera che io gli ho scritto e conservato nei cassetti della sua camera.
Gliene ho parlato il giorno prima quando si tornava a casa.
Mi dice anche che l’avrebbe voluta leggere per parlarne in viaggio, ma non l’ha trovata: peccato, dice lui.
Mi domanda comunque cosa ci fosse scritto e in sintesi glielo dico.
Una lettera che ho scritto in un momento di profonda riflessione su di lui, su di me e sulla nostra storia di padre e figlio, sulla nostra famiglia.
Le sue riflessioni sono puntuali e costanti.
Riconosce che la vita della comunità gli sta dando l’opportunità di guardarsi dentro e scoprire tante sue cose, anche molto belle e condivido.
Si rende conto di averne ancora bisogno, perché dice, ha ancora necessità di prendere piena consapevolezza di certi limiti, dei quali era invece convinto di aver trovato.
Io le trovo considerazioni troppo importanti e degne di riconoscimento e glielo dico.
Per tutto il viaggio non ha emesso un solo segnale di stress, non un tic, non una compulsione, ma solo considerazioni pure, ricche e piacevoli da seguire, consapevole che il suo dire non era un semplice dire, ma un volersi far guardare dentro.
Quando siamo arrivati in comunità, come la prima volta, ha scelto di non farsi accompagnare sin su e io ho perfettamente interpretato il suo stato d’animo, la sua difficoltà nel controllare le emozioni e non ho insistito, ma mi sono accorto di quanto fosse tirato in viso, pronto al pianto.
Ci siamo abbracciati, come non mai, con il pianto in gola, la voce tremante e sono ripartito verso casa.
Le due ore di viaggio in perfetta solitudine, sono state tremendamente mie.
Le sue considerazioni e riflessioni a voce alta, mi hanno accompagnato per tutto il rientro.
Ho pensato tanto, a quanto fossimo diversi prima e quanto fossimo uguali ora.
Ho tanto riflettuto a quanto abbia dovuto lui distruggere la mia figura come padre, prima di doverla ricostruire a sua immagine e somiglianza.
Mi ha fatto tanto male, ma anche profondamente bene.
Lo stiamo riscoprendo nella sua essenza, nella sua genuinità e nella sua attenzione verso il prossimo e soprattutto verso le persone a lui care.
Vederlo così ricco di sentimenti, di riflessione, di semplicità mi riempie il cuore.
Mai avrei pensato che allontanarlo da casa, dagli affetti, avrebbe rimesso tutto il suo vivere in discussione.
Non so se lo avrei fatto prima, pur sapendo ciò, so solo che non è facile maturare una scelta di allontanamento come questa: proprio non lo è.
Scusate se sono stato prolisso, non era nel mio programma, lo era invece, raccontare questa nostra storia anche per voi che come noi attraversate periodi tristi e privi di via d’uscita.
Mi sono lasciato trascinare dalle emozioni e dal pensiero.
Ciao
[SM=g7557]
29/03/2008 20:00
 
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Grazie Eugenio per questa tua testimonianza (Emy, io penso che debba andare anche sul sito fra le storie).
Sono molto emozionato...e non ho altre parole se non quelle di dire che certe volte più spostiamo i limiti, più i nostri ragazzi si spostano in avanti per cercarli.

GFM


PS Ora mi rendo conto che tutte le volte che ti invitavo a parlarne forzavo il tuo dolore, scusa.


29/03/2008 22:12
 
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è importante sapere
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29/03/2008 22:15
 
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davanti alla tua storia
per ora mi sento di rispondere solo con il silenzio.
grazie
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30/03/2008 10:05
 
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Eugenio, anche io ho solo il mio silenzio da offrire.

Ha ragione Marmotta, è importante sapere.E tu ci hai dato veramente molto.Grazie,
rossana
30/03/2008 12:21
 
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non immagini quanto vi sono vicina
non nascondo la commozione, comprendo benissimo quello che avete vissuto e farò tesoro della vostra esperienza. Spero anche io , un giorno, di poter raccontare la nostra di storia che mi auguro avrà lo stesso lieto fine della vostra. Grazie per averci dato tanto!
30/03/2008 21:10
 
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Eugenio, ti confesso che mi hai fatto versare qualche lacrima,
ma sono felicissima per voi!
Un abbraccio forte .... alla Marcimari.
FM
31/03/2008 00:03
 
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Socio di AST-SIT
BELLA STORIA
MI COMPLIMENTO MARCIMARI PER TUA LOTTA COSTRUTTIVA. VOSTRO FIGLIO SARA' ORGOGLIOSO DI VOI GENITORI . MI COMPLIMENTO ANCHE PER LA BELLA SARDEGNA CHE HA UNA STUTTURA CHE HA DATO TANTO E DA TANTO A VOSTRO FIGLIO.
LA VOSTRA ASL CHE VI HA DATO DELLE INDICAZIONI COSTRUTTIVE SU UN PROBLEMA POCO CONOSCIUTO . IN TRENTINO SUL PROBLEMA SANITA' NON POSSIAMO LAMENTARCI MA SUL PROBLEMA CHE MIO FIGLIO E LA NOSTRA FAMIGLIA ABBIAMO INCONTRATO E STIAMO
PORTANTO AVANTI , TANTO TABU' TANTO VUOTO TANTA SOLITUDINE POCA INFORMAZIONE
ANCORA OGGI L'ASL SI COMPORTA IN MODO MOLTO DISTACCATO, NON
RIESCO AD AVERE GRANDE COLLABORAZIONE .
La tua storia ci potra' aiutare tanto . Un salutone dal
Trentino.
[SM=g7554] [SM=g7554] [SM=g7554] salvina57
salvina57
31/03/2008 16:02
 
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Post: 313
Registrato il: 07/11/2007
Socio AST-SIT
Marci,

Ho letto la vostra storia col fiato sospeso...mi ci ritrovo di brutto nel modo di scriverla...e anche per questo l'ho sentita davvero molto!
Onestamente non sapevo molto della vostra storia, e capisco che per quanto dura e difficile sia stata una prova davvero profonda, che vi ha cambiati in meglio nel sentire e nel capire.
Provo profondo rispetto per ciò che avete vissuto, e ti ringrazio di averla condivisa con noi..
Leggendo la storia mi sono fatto una specie di filmino immaginando situazioni ed emozioni...e l'andamento in positivo della situazione mi ha fatto tirare un sospiro di sollievo...
Siete stati saggi e equilibrati, e mi complimento per la vostra sensibilità..
Anche il vostro ragazzo è davvero in gamba, nonostante tutto riuscire a parlare così profondamente ed apertamente di certi eventi è prova di grande maturità e forza interiore..

"Ogni ombra per quanto profonda è minacciata dalla luce del mattino"

[SM=g7566]
31/03/2008 23:22
 
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Post: 16
Registrato il: 05/01/2008
Socio fondatore AST-SIT - Segretario
Molto emozionante la tua testimonianza, che sollievo leggere che tuo figlio sta meglio, che ha ripreso a vivere, che studia, che cerca gli amici, e che vi siete ritrovati!
Mi unisco alla vostra gioia e sono felice per questo grande risultato. Complimenti, siete stati grandi, tutti e tre!




02/04/2008 14:08
 
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Ho letto solo ora
Continuavo a chiedermi se l’allontanamento sarebbe stato positivo anche per voi e sono veramente contenta di leggere che è servito a tanto.
Ti stimo per essere riuscito a trasmettere a tuo figlio i tuoi sentimenti, per esserti messo in gioco per aver preso in mano le redini riuscendo a fargli capire perché lo dovevi fare. Ovviamente anche Lella avrà avuto un ruolo positivo; ma inizio a credere che per i maschi il modo in cui il padre riesce a gestire la forte rivalità e sfida che un ragazzo tourettico gli pone, sia fondamentale per la buona riuscita di una parte dei problemi.
Oggi ho letto il post di Gianfranco sui giovani elefanti ed ho pensato …. Mio figlio da quando è entrato nell’adolescenza ( ed ha iniziato a ribellarsi ed a criticare) , ha perso la figura paterna.
Infatti suo padre per una sua incapacità ad accettare la critica, ha smesso di rapportarsi con lui evitando qualsiasi tipo di discorso. Io non sono in grado di supplire a questa mancanza e l’elefantino non trovando una figura in grado di tenergli testa ha passato 2 anni devastando tutto… anche se stesso.
In questi giorni sta meglio, è più determinato solo che per abitudine lui chiede sempre qualche cosa e per abitudine suo padre nega sempre quello che lui chiede senza dare spiegazioni e possibilità alcuna. Com’è che la loro intelligenza non gli permette di capire che questo gioco ha rotto le palle a tutto il resto della famiglia e che è ora di cambiare gioco? Ma forse sono solo io che non posso capire le dinamiche maschili.
Mi piacerebbe se al prossimo incontro lombardo si riuscisse a parlare di come i genitori possono aiutare i loro giovani ribelli, magari facendo sperimentare i costi e le conseguenze degli eccessi, a trovare il loro limite e a metter da parte le pulsioni distruttive esagerate ( come ha detto Gianfranco).

So che è impossibile pensarlo in questo momento, ma sarebbe veramente bello avere qui anche Voi della Sardegna.

Vi sento vicini come dei veri amici anche se non vi ho mai visto, è incredibile ma vero.
Clod

02/04/2008 17:24
 
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.........

............


Arturo
[Modificato da ardena 02/04/2008 17:50]



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Il passato è l'esperienza,il presente l'azione,il futuro la volontà.
02/04/2008 17:25
 
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Leggo solo adesso.....
....sono felice per voi....e vi voglio bene...specialmente in quei momenti in cui non vuoi sentire nè vedere nessuno......ma fortunatamente sono passati.
Ti chiamo al più presto.



Arturo



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Il passato è l'esperienza,il presente l'azione,il futuro la volontà.
03/04/2008 01:34
 
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Carissimo Eugenio,

ho avuto solo stasera la tranquillità di leggerti...

commosso, ti ringrazio per la generosa testimonianza

Un abbraccio a tutta la famiglia!

Giglio
25/11/2008 11:44
 
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Grazie
Stamattina ho ripreso a spulciare sul forum vecchi unterventi che sono per me sempre fonte di arricchimento. Mi sono imbattutta nella storia di Eugenio e della sua famiglia, non c'è molto da commentare... Spero che adesso a distanza di mesi le cose siano ancora migliorate e la loro vita sia davvero più serena. Sono grata a lui e a tutti quelli che hanno messo in comunione con gli altri le loro sofferenze, ma anche la loro voglia di continuare non solo a sperare ma anche a credere davvero che le cose possano migliorare. E sicuramente questa è la forza dell'Associazione, cerchiamo di esserci sempre attivamente, per quanto sia possibile ad ognuno di noi. Sono stata confusionaria come al solito...
25/11/2008 13:19
 
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VOrrei parlare con te e Nicola di associazione e rete di soci. Posso chiamarvi nel finesettimana? (prima non riesco)
25/11/2008 18:30
 
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Puoi chiamare quando vuoi Giglio.
Anche io vorrei parlare con te.
Avrei qualcosa da chiedere anche a Eugenio e Gianfranco. Forse c'è la possibilità di far pubblicare un articolo qui sul giornale locale (Gazzetta del Mezzogiorno) e una intervista da mandare in onda su una TV locale. Ovvamente aspetto istruzioni su come eventualmente organizzare la cosa.

Nicola

PS: Eugenio ho letto solo ora quello che hai raccontato. Ho ancora la vista annebbiata ..... chissà se ci dovremo passare anche noi, chissà se avremo la forza che avete avuto voi.
[Modificato da nicola58 25/11/2008 18:39]
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25/11/2008 19:03
 
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NicolAemme...


Questo scritto ha nel mio cuore un posticino tutto per se.
Venne buttato giù in un momento di forte commozione e immensa voglia di rendere comuni quei momenti. Il dolore era tanto, i pensieri si sovrapponevano di continuo e gli occhi...
Avrei voglia di raccontare al mondo intero quei momenti, ma anche quelli di oggi.
Vorrei sfogarmi con chi capisce anche se utilizzassi le parole più forti e non mi vergognerei.
Ma qui da noi questo non è consentito.
Le persone che vivono lo stesso dramma, tirano su le tende e spengono la luce... capisco.
Tutto ciò che accade all'interno della casa, non deve saperlo nessuno.
Quei versi, quei pestamenti, quelle parole taglienti restano un segreto per pochi. Questo spazio sposta le mie tende, accende la mia luce e mette fuori tutto: per questo lo amo e lo difendo, come la cosa a me più cara.
Grazie

Gazzetta del mezzogiorno: at-tenti!!!
Tv locali: Ok
Diteci cosa serve e muovismoci senza esitare un solo attimo.
Grazie Gigliolo per voler parlare di associazione anche con NicolAemme.

Abbracci Forti
E
25/11/2008 19:37
 
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Capisco che tu voglia difenderlo, lo vorrei anche io.
Vorrei anche io spostare le mie tende e accendere la mia luce.
Solo a volte penso semplicemente di non esserne capace, di non avere la foza necessaria.
Ma questo con il vostro aiuto può cambiare. Stà già cambiando.

Nicola

PS: Serve un documento da far pubblicare e qualcuno autorevole da far intervistare, qualcuno che rappresenti l'associazione in modo ufficiale e ne spieghi gli scopi, dia tutti i riferimenti necessari in modo da iniziare a richiamare anche altre famiglie che vivono lo stesso bisogno.
A mio avviso l'intervista potrebbe essere molto più "delicata" da realizzare. Molto dipende dall'intervistatore.
In ogni caso ho bisogno che qualcuno che rappresenti l'associazione mi dica se posso procedere, per poter iniziare a prendere contatto.
[Modificato da nicola58 25/11/2008 19:39]
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26/11/2008 18:34
 
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mi ha veramente colpito..
la tua storia.mio figlio ha da poco compiuto 10 anni e la mia paura è quella di vivere un'esperienza come la tua nell'adolescenza che si sta avvicinando.
spero proprio che non accada mai , ma se dovesse accadere mi auguro di avere la tua stessa forza d'animo.

un saluto

Eraldo
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