Ciao

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leyander1
00mercoledì 10 settembre 2008 21:25
Ciao a tutti mi chiamo Gianluca e vivo a Roma. Ho 22 anni e ho la sindrome di gilles de la tourette dall'età di 5 ed ho raggiunto il picco all'età di 18. Non ho mai avuto problemi a manifestare i miei tic vocali e motori soprattuto perchè chi mi sta in torno, amici e non, non ci fa caso.Sono stao molto fortunato a scuola e nella vita, non ci è stato mai nessuno che mi ha preso in giro per i miei disturbi e sono stato abbastanza sereno sino all'età di 18 anni. Da quel momento in poi la vita è stata uno stress continuo, i tic peggioravano: durata, complessità, numero, frequenza ecc. Mi sembrava così naturale avere i tic che mi chiedevo come mai gli altri non li avessero. Allora iniziai a girare vari ospedali, ad incontrare vari medici, a prendere vari farmaci tra cui: Haldol, risperdal, orap, tetrabenazine ed altri ma con nessun risultato; fino a quando non sentii parlare su internet di un certo abilify e che molti ne avevano tratto dei benefici, cosi chiesi al mio neurologo di prescrivermelo e iniziai a prenderlo insieme all'anafranil e dopo 1 settimana tutti i miei tic scomparvero. Poi feci richiesta per la invalidita civile e legge 104 e mi è stata riconosciuta l'80% di invalidità e anche la legge 104. Da un anno oramai sto bene e mi sento felice e sereno, spero che altri possano trovare il loro farmaco e di avere fortuna come la ho avuta io. In fine consiglio vivamente di fare richiesta per l'invalidità civile, un pò di benefici possono solo farci che bene.
SIMONA8
00mercoledì 10 settembre 2008 21:45
Ciao e benvenuto da parte di una mamma di un bimbo di 10 anni, il tuo post mi da coraggio sono proprio le prese in giro quelle che mi spaventano di più....i veri amici si selezionano e tu probabilmente sei stato molto fortuanto prego sia così anche per mio figlio...continua se ti va a raccontare la tua adolescenza magari episodi particolari che ti ricordi....curiosità... hai una dote artistica?
Simona
GiglioDellaTorretta
00mercoledì 10 settembre 2008 23:04
CIao Leyander!

Benvenuto tra noi, e grazie della tua testimonianza!
leyander1
00giovedì 11 settembre 2008 18:12
Re:
SIMONA8, 10/09/2008 21.45:

Ciao e benvenuto da parte di una mamma di un bimbo di 10 anni, il tuo post mi da coraggio sono proprio le prese in giro quelle che mi spaventano di più....i veri amici si selezionano e tu probabilmente sei stato molto fortuanto prego sia così anche per mio figlio...continua se ti va a raccontare la tua adolescenza magari episodi particolari che ti ricordi....curiosità... hai una dote artistica?
Simona



Per quando tirguarda la paura delle prese in giro io e i miei genitori non ne abbiamo mai avute, è capitato che qualcuno ogni tanto mi prendesse in giro ma a me, e presumo anche a qualsiasi tourettico, le prese in giro arrivano ad un orecchio ed escono dall'altro. Mi sono sempre sentito immune alle prese in giro che ho ricevuto nella mia esperienza; non ci ho mai fatto caso, non ci ho mai pensato, avvole ci ridevo sopra. Quando ero bambino e andavo alle elementari avevo il tic di tirare fuori la lingua e quando venivo interrogato la maestra mi metteva la mano davanti alla bocca ma non mi ha mai dato fastidio dare spettacolo e mostrare i miei tic. Una cosa molto interessante che ho notato in me è stato quando arrivai ai 18 anni dove la sidnrome raggiunse il suo picco. Da allora iniziai a scrivere un saggio filosofico sulla vita, i suoi problemi, i suoi misteri, sulle verità nascoste, sui problemi esistenziali, sui comportamenti umani, sulla religione, sulla fede, sulla esistenza, sul senso della vita e della morte, ecc ecc. Ogni tanto continuo ancora a scrivere qualche pensiero e sono arrivato a 51 pagine e credo che non smettero mai di scrivere. Ho incominciato a scrivere perchè credo sia teraupetico proprio come parlare. dall'età di 18 anni iniziai a fare tutti questi pensieri durante la notte e pensavo per ore e ore fino a non riuscire a dormire per tutta la notte e così è andata avanti per almeno 2 anni, poi iniziai a calmarmi e riflettere sul fatto di scrivere tutti quei pensieri che avevo fatto in passato e che era importante e doveroso farlo per me e per i futuri lettori. Sicuramente la sidnrome di tourette mi ha reso molto più umano, più consapevole e più saggio. Soffrire e vedere altri soffrire fa di noi persone molto forti e consapevoli. Ho letto molto che i tourettici hanno una vena artistica e ci sto credendo sempre di più, soprattuto perchè io mi sento molto creativo studiando e facendo grafica pubblicitaria.
SIMONA8
00giovedì 11 settembre 2008 19:16
che persona stupenda e sensibile sei, hai detto delle cose vere sul diventare molto più umani e molto più sensibili in un mondo fatto di status e di niente fortunatamente ci sono persone così...se non è troppo intimo sarebbe interessante leggere qualcosa su i tuoi pensieri e su come vedi la vita....potremmo essere i tuoi primi lettori....continua così speciale come mio figlio!
leyander1
00giovedì 11 settembre 2008 20:27
Re:
SIMONA8, 11/09/2008 19.16:

che persona stupenda e sensibile sei, hai detto delle cose vere sul diventare molto più umani e molto più sensibili in un mondo fatto di status e di niente fortunatamente ci sono persone così...se non è troppo intimo sarebbe interessante leggere qualcosa su i tuoi pensieri e su come vedi la vita....potremmo essere i tuoi primi lettori....continua così speciale come mio figlio!



certo mi farà molto piacere farvi leggere qualche mio pensiero. Posso incominciare dal capitolo "grandi quesiti che aprono la mente". Per stare in tema inizio con questi: (spero di non metterne troppi e di non annoiarvi, quando devo far vedere le mie cose mi faccio prende un po la mano :) )

Si soffre per davvero?
(“Noi non soffriamo per le cose del mondo, ma per le nostre credenze sulle cose del mondo” Epitteto 50 ca.-138 ca).

Qualsiasi cosa che ci rende sofferenti non ha un valore assoluto che fa soffrire per forza tutti noi, ma è soltanto un valore relativo. Noi pensiamo e siamo certi che quella cosa che ci fa patire procura realmente dolore, ma se per un attimo ci fermassimo e riflettessimo sul vero significato di quella cosa potremmo comprendere meglio se davvero vale la pena soffrirne o potremmo farne a meno. Dobbiamo sempre chiederci e dubitare dell’evento che ci sta capitando e non darlo per scontato. Se ci pensiamo, offendersi per le parole è davvero stupido. I valori assoluti si danno per convenienza, ma è certo che tutto è relativo e molte cose non esitono. Orgoglio, rispetto, ma che cosa sono? Niente! Tutta roba inventata dall’uomo e noi ci stiamo ancora a credere e a prendere tutto sul serio senza neanche sapere perché ci offendiamo e perché soffriamo. Non sono le altre cose che ci fanno soffrire o arrabbiare, ma siamo noi che soffriamo e ci arrabbiamo, dando dei valori assoluti e dei significati assoluti inesistenti che ci fanno soffrire inutilmente a delle cose e a delle parole che nella realtà non esistono e che sono relative e che quindi possono, ansi, sono prive di significativo. Basta che siamo noi a non dargli significato, perché se ce lo diamo allora ci arrabbiamo e soffriamo.


Qual è il giusto comportamento verso il mondo?
Ci insegnano come comportaci con quelli come noi, con quelli alla pari, con i nostri simili, ma non con quelli diversi da noi, quindi li escludiamo a priori per convenienza. Io a volte escludo quella che può essere la mia personalità, il mio carattere, proprio per immedesimarmi in quella persona che colui che mi sta davanti vorrebbe vedere. E questo non si chiama fare finta, o non essere se stessi, ma soltanto “apertura mentale” che fa parte del nostro io. Una mente aperta a tutto, a sentire ogni cosa senza obiettare dando voce solo al nostro carattere impulsivo, una mente aperta ad accettare qualsiasi idea, critica, riflessione di colui che mi sta di fronte, una mente che non sa giudicare ma sa comprendere e aiutare, una mente che sa parlare anche quando le cose non le sa, una mente che non ha fondamenta su un carattere già prefissato e predestinato ma che è capace di modellarlo con l’esperienza e la saggezza acquisita nel corso della vita, una mente che non copia idee ma che è capace di raccogliere pensieri per comprendere meglio i propri e conoscere meglio se stessi completando, perfezionando, e spiegando al meglio i propri. Non bisogna criticare e giudicare basandoci su valori, parole assolute che ci dicono che è buono, cattivo, giusto , sbagliato, bello, brutto, ma bisogna osservare, comprendere, capire, investigare, trovare un senso, bisogna aiutare a far comprendere e a far sentire la propria coscienza. Non ci sono cose giuste e sbagliate, sono tutti dati di fatto realmente esistenti, noi dobbiamo svolgere il compito di portare sulla strada più adatta a vivere meglio, sulla strada che rende migliore il rapporto che la persona ha con se stesso e con gli altri, per farlo sentire veramente migliore, in pace con se stesso, con gli altri e sereno, per renderlo consapevole di quello che compie grazie al ritrovamento della coscienza e della comprensione che lui poi avrà con gli altri. Quando vediamo, o chi è più sfortunato di noi, o chi è come noi eravamo un tempo (lati negativi), non bisogna dirsi: Ah! Io ora sono salvo, ho già passato i miei guai, ora sono felice e me ne frego, oppure io sono meglio di lui o, meno male che sono più fortunato di lui. Dobbiamo dire invece: io potevo essere come lui, io ero come lui, io sono lui. Quando un essere vivente soffre, fa soffrire anche me indirettamente in maniera passiva, perché anche io sono un essere vivente come lui, questo non mi succede quando vedo un oggetto tipo un sasso o una sedia rompersi, perché non è vivo e di conseguenza noi soffriamo, senza ombra di dubbio, per tutti gli esseri viventi.

Come si fa a capire realmente le cose: emozioni, sentimenti, sofferenze dei nostri simili?
Una condizione necessaria all’uomo per capire realmente una cosa, è provarla direttamente sul suo corpo e sulla sua mente. Le parole, il pensiero, la ragione, la logica, l’intelletto non sono capaci di farci vivere personalmente, interiormente quelle che noi chiamiamo emozioni, sentimenti, sofferenze. Se noi pensiamo o parliamo o ragioniamo su una emozione, sentimento, sofferenza, riusciamo davvero a capirla? Sicuramente no. Vivendo la sofferenza in prima persona, provarla direttamente sulla nostra pelle, sconvolgendo la nostra psiche; questa sofferenza ci pervade e ci fa capire che cosa sia realmente, e ci dimostra come questa cosa non debba essere mai provata da nessun altro. Con questo non voglio dire, che per far capire ad una persona quanto si può soffrire, bisogna farla soffrire per forza, non è necessario ricorrere a questa via, anche se può essere la più corta. Posso dire che è necessario che ci siano persona che soffrono, ma per lo scopo di fare capire meglio alle altre persone che cosa si può o bisogna fare. Le scorciatoie tendono ad aggirare l’ostacolo, le vie più lunghe, invece, lo affrontano, e per affrontarlo ci vengono in aiuto la parola e la ragione. Un conto è capire che cosa si prova, e un altro che non bisogna farla. Capire che cosa si prova ti permette di accrescere la propria saggezza, purezza e semplicità e ci da la certezza di poter comprendere e aiutare meglio gli altri. Mentre capire che non bisogna fare una cosa, grazie alle parole e alla ragione, ci da un input che tende a non farci compiere quella cosa, ma correremo sempre il rischio di cadere e di dimenticare o ignorare l’input. La sofferenza è un donno a questo punto? Si, lo è, è un dono che ci è stato dato per aiutare gli altri a capire meglio le cose.

Abbiamo una scelta nella vita?
Non finirò mai di ripetere che: il bagaglio genetico, il carattere, la famiglia, l’ambiente non li decidiamo noi, ma il caso, la fortuna e la sfortuna. Quindi tutte queste cose che ci caratterizzeranno in futuro, nel corso della nostra esistenza, sono tutte cose che non scegliamo noi. I latini dicevano che siamo noi gli artefici del nostro destino; questa frase è troppo limitata e la gente la interpreta così com’è senza rifletterci sopra, dando come al solito tutto per scontato. Quella frase è giusta solamente se la vediamo dal punto di vista che il nostro destino non viene influenzato da forze, enti esterni a noi invisibili e sconosciuti come può essere dio, il demonio, gli angeli, gli spettri ecc. Siamo soltanto noi che creiamo la nostra vita, ma ci sono molte falle in quella frase. Noi il destino ce lo possiamo creare nel bene, nel male, in maniera diretta, in maniera indiretta; ora mi spiegherò meglio. La vita ci mette di fronte a delle scelte difficili, uniche, irrevocabili, brutte, belle, buffe che ci sono state offerte dalla casualità della vita. Spesso non possiamo fare scelte che vogliamo perché condizionati, influenzati, abbandonati, comandati. Io potrei nascere con dei caratteri genetici che nei prossimi 20 anni mi faranno venire un tumore incurabile, potrei nascere figlio di persone povere, o in paesi sottosviluppati e non civilizzati, potrei nascere con delle malformazioni genetiche, o potrei nascere in buona salute in un bel paese, con una bella famiglia, ma in futuro verro messo di fronte a delle scelte che saranno condizionate dal caso. Non siamo tutti uguali, non possiamo avere tutti le stesse scelte, non possiamo farci il destino che vorremo farci, non siamo noi gli artefici del nostro destino, ma è il caso che realizza il nostro destino; noi siamo soltanto una pedina, uno strumento, governato dalla casualità benigna e maligna, che si preoccupa di sopravvivere e di sottostare alle regole che gli ha imposto il caso o meglio dire il destino, vivendo giorno per giorno consapevole dei suoi limiti e delle cose che può fare e di quelle che non può fare. C’è un elemento nella nostra esistenza che ci da modo di comprendere, di capire e di fare finalmente delle scelte anche se sempre limitate dal caso, e cioè l’esperienza, ma anche qui mi pervade un dubbio. Siamo davvero noi a deciderla? Abbiamo realmente una scelta? Io per scelta intendo avere una possibilità di decidere su due o più opzioni sapendo cosa succederà dopo che avrò scelto la mia decisione. Se io inciampo su un sasso e cado, non ho avuto la possibilità di decidere, potevo soltanto dire che: se fossi stato più attento non sarei caduto. Se io avessi avuto la possibilità di tornare indietro avrei avuto la possibilità di decidere se inciampare sul sasso o se no. Se io ho davanti cinque strade con 5 punti interrogativi e devo prendere una decisione su quale strada prendere, posso fare tanti ragionamenti se ho dei dati su quelle strade, ma alla fine la decisione che io prenderò nella mia vita sarà sempre e solo una sola, e potrà essere o giusta o sbagliata, quindi casuale, fortuna-sfortuna, e non avrò mai la possibilità di tornare indietro e di avere realmente una possibilità di decidere con una piena coscienza di quello che andrò a fare. Potremmo dire l’esperienza insegna, ma gli errori ci saranno sempre, non essendo noi dei computer che hanno un registro di tutti gli errori possibili che può commettere l’ uomo e che memorizzano tutti gli errori commessi nel passato per poter avere in futuro la certezza assoluta di non commettere l’errore precedente; e la decisione sarà sempre e solo una. Ergo, l’uomo si deve unire alla macchina se vuole vivere ancora meglio. Il computer, il cellulare, l’aereo e tutto quello che abbiamo creato ci dimostrano la nostra limitatezza e imperfezione. L’uomo non può fare i calcoli che fa un computer, non può volare e non può parlare a distanza. Se l’uomo vuole essere indipendente dal caso, vuole avere una scelta, vuole essere perfetto e non avere limiti, deve unire la sua ragione, intelligenza a tutti gli strumenti, che lui stesso ha creato, in un solo essere. Così facendo potremmo fare miliardi di calcoli al secondo e potremmo sapere tutte le probabilità che avremmo per fare una cosa, potremmo volare, potremmo parlare telepaticamente da una parte del globo a un’altra ecc ecc. Questo accadrà fra qualche centinaia di anni o forse fra un migliaio d’anni, ma accadrà e già sta succedendo con le parti meccaniche e artificiali di arti e organi, ma ancora non basta, l’evoluzione sarà l’installazione dei computer, dei microchip all’interno del cervello.

Conosciamo realmente chi ci sta vicino?
Le persone quando sono in compagnia di altre persone quali amici, parenti, fidanzata, si dimenticano dei loro problemi e del loro umore interno e quello che mostrano, personalità, carattere, umore, a chi gli sta vicino, ovviamente, non è quello che realmente hanno dentro. Soltanto quando sono soli senza nessuno vicino egli si accorgono di come si sentono realmente dentro. Per conoscere una persona bisogna conoscerla interiormente. Bisogna conoscerla e vederla quando è sola e non quando è in compagnia, perché si camuffa in quella persona bella, gentile, buona e simpatica che noi conosciamo da anni. Per questo l’animo umano è tanto misterioso, proprio perché quello che abbiamo dentro non lo facciamo mai vedere fuori. Perché dico che l’animo umano è misterioso? Mi è capitato tante volte di sentire al telegiornale di persone che si suicidano o commettono omicidi e poi a sentire i parenti e gli amici queste persone erano normali e buone. Allora mi sono domandato: dicono così perché non li conoscevano veramente? Non è difficile conoscere una persona com’è dentro, basta soltanto preoccuparsene senza limitarsi all’idea di conoscere quella persona soltanto vedendola fuori e soltanto perché la conosciamo da anni e pensiamo che sia realmente così.




GiglioDellaTorretta
00giovedì 11 settembre 2008 22:25
Sì, sei tourettico! [SM=g7576]
Gianfranco Morciano
00venerdì 12 settembre 2008 00:25

Hey Giglio, non sarà che ormai é come se ci guardassimo allo specchio e non ci entusiasmiamo più tanto?
Però ci fa piacere eh?!

GFM


GiglioDellaTorretta
00venerdì 12 settembre 2008 00:46
Hai letto un calo di entusiasmo??

Sì, ci guardiamo allo specchio, ma il mondo differente che ha dentro di sè ciascun individuo resta, e credo/spero che mi ingolosirò tutta la vita!
Gianfranco Morciano
00venerdì 12 settembre 2008 00:51
Il nostro TEST:

Indicatore 1 POLIVISIONE: "Dobbiamo sempre chiederci e dubitare dell’evento che ci sta capitando e non darlo per scontato"

Indicatore 2 VIVERE LA VITA ALTRUI: "Io a volte escludo quella che può essere la mia personalità, il mio carattere, proprio per immedesimarmi in quella persona che colui che mi sta davanti vorrebbe vedere"

Indicatore 3 VIVERE PIù PERSONALITà: "una mente che non ha fondamenta su un carattere già prefissato e predestinato ma che è capace di modellarlo"

Indicatore 4 MENTE INDAGATIVA: "bisogna osservare, comprendere, capire, investigare, trovare un senso"

Indicatore 5 FONDERSI NELL'ALTRO: "io potevo essere come lui, io ero come lui, io sono lui. Quando un essere vivente soffre, fa soffrire anche me"

Indicatore 6 ECCESSO DI ENPATIA: "Vivendo la sofferenza in prima persona, provarla direttamente sulla nostra pelle, sconvolgendo la nostra psiche; questa sofferenza ci pervade e ci fa capire che cosa sia realmente"

Indicatore 7 INIBIZIONE DELL'INIBIZIONE: "dando voce solo al nostro carattere impulsivo"

Indicatore 8 PESO DEL FATO (SPESSO SFORTUNA): "il bagaglio genetico, il carattere, la famiglia, l’ambiente non li decidiamo noi, ma il caso, la fortuna e la sfortuna"

Indicatore 9 PERVASIVITà DEL DUBBIO "l’esperienza, ma anche qui mi pervade un dubbio. Siamo davvero noi a deciderla? Abbiamo realmente una scelta? "

INdicatore 10 RELATIVISMO: "Conosciamo realmente chi ci sta vicino? "



MI SON FERMATO AL DECALOGO per ragioni di buon numero [SM=g7554] , ma si poteva scrivere di più. Sì, TI RICONOSCIAMO, BENVENUTO.



GFM








Gianfranco Morciano
00venerdì 12 settembre 2008 00:55


Non saprei, forse immagino che con il ripetersi dei fenomeni si gusta ancora ma si lesina un po' di reciprocità rispetto ai primi tempi, ce lo gustiamo ancora certamente...ma forse con minor restituzione. Comunque lo si gusta eccome.

Gianfranco Morciano
00venerdì 12 settembre 2008 00:58
Hey Leyander...


...guarda che se leggono le cose che scrivi l'invalidità te la tolgono!! ;)


GiglioDellaTorretta
00venerdì 12 settembre 2008 03:24
Caro Leyander...

Trovo molto preziose le tue riflessioni, e mi trovo molto in sintonia. Anzi, ho imparato qualcosa. E ho anche ripassato... vado per i 36, è un'altra fase, rispetto ai 22: sono un po' ottenebrato da tribolazioni e angosce, del quotidiano e di una vita che sembra non decollare mai. Tornerò a leggerti ogni tanto, per rinfrescarmi l'animo, e spero ci vorrai donare altre tue pagine.

Eh sì, GF, da un po' di tempo sono diventato pigro a scrivere qui: ho tante finestre aperte, è un periodo un po' confuso e non ho molta energia.

Buona inoltrata-notte!
leyander1
00venerdì 12 settembre 2008 12:04
grazie a tutti per i complimenti e per aver letto i miei pensieri. Vi posterò qualche altra riflessione (i pensieri che avete letto e che leggerete sono quelli più corti, gli altri capitoli sono molto lunghi e non vorrei annoiarvi.) Ma prima vorrei farvi leggere la mia premessa:

Premessa
Non voglio che le mie parole possano condizionare il lettore. Lo scopo della lettura è quello di far riflettere su argomenti che non vengono trattati spesso e che servono per una corretta crescita dei ragazzi e per una corretta consapevolezza per gli adulti. Il mio obbiettivo è quello di far acquisire più idee e più conoscenza per poter riflettere sulla vita, i problemi che porta, i suoi misteri, e di far vedere all’intera umanità le verità nascoste della vita che tutti noi ignoriamo, un po’ per pigrizia mentale, un po’ perché la vita ci piace così com’ è e non vogliamo scoprire nulla che possa interferire sulla nostra felicità o possa sconvolgere le nostre credenze secolari su tutto ciò che ci circonda, e quindi farci smarrire. Le cose che ho scritto sono frutto del mio pensiero, delle mie opinioni, delle mie osservazioni. Non c’è niente di assicurato e di dimostrato in quello che dico, tranne alcune trattazioni di carattere scientifico di personaggi famosi che ho preso da internet e da libri. Tutte le cose scritte che non appartengono a me sono tutte accompagnate dai nomi degli autori, come le citazioni e alcuni argomenti di scienza e di filosofia. Tutto il resto sono miei pensieri e commenti, nati da un forte bisogno di trovare delle spiegazioni ai problemi esistenziali e ai comportamenti umani; pensieri che ho accumulato con una saggezza e una sofferenza personale e profonda, acquisita nel tempo, con l’esperienza, e con la nascita. D’altronde, parlare e scrivere è terapeutico, e queste cose che ho scritto serviranno molto anche a me.

Siamo noi a comandare sulla vita o è la vita che comanda su di noi? Esiste il destino?
Se si potesse tornare indietro con il tempo non esisterebbe alcuna forma di destino, caso, fortuna o sfortuna. Il destino è il nostro limite. Noi non scegliamo di vivere con capacità, privilegi, abilità, caratteri, personalità innate. Come nasciamo così dobbiamo essere, è scritto nel DNA, nel nostro bagaglio genetico. Noi possiamo decidere uno scopo, un fine nella nostra vita, degli obbiettivi da raggiungere che richiedono a volte fatica e sacrificio, possiamo avere una scelta, ma saremmo sempre vincolati dai limiti che ci impone il nostro destino. Può essere anche detto sottoforma di occasioni particolari, la cosiddetta fortuna, conoscenze particolari, spinte di altre persone, quelle situazioni che si presentano solo a te, o che si sono presentate nel momento giusto, o che sono state colte subito, o che si presentano una volta e basta ecc ecc. Sono limiti che sono stati messi a chi non le ha avute e sono stati tolti a chi le ha avute. Il destino che la maggior parte delle persone intende, per me non esiste: “quella entità suprema che ha scritto la nostra vita”. Le nostre azioni sono il risultato del libero arbitrio. È vero però che noi non siamo del tutto liberi, come ho già detto noi non possiamo scegliere con quali caratteristiche nascere, con quale famiglia nascere, in quale ambiente nascere; quello è il nostro limite, quella è la mia definizione di destino. La nostra esperienza, si ci fa crescere, maturare, ci insegna molte cose, ma, nascendo già diversi, con dei limiti diversi, con caratteristiche diverse, è logico che saremo anche diversi da un altro, seppure avremo percorso la stessa esperienza di vita. Quindi quel nostro bagaglio genetico, unito a una circostanza ben definita, ci farà diventare quello che saremo. È troppo facile dire buona volontà, fatica, impegno, tu devi essere così, tu devi diventare colì, quando dietro ci sono ben altre cose che noi ignoriamo. Allora dovremmo essere tutti degli scienziati, ingegneri genetici, biologi, psicologi, psichiatri, neurologi, criminologi per capire davvero come stanno le cose.

Il dualismo è la chiave della sofferenza? Qual è l’idea più semplice e originale per eliminare tutte le sofferenze?
Se vale l’idea sacrificare pochi per salvare molti, vale ancora di più l’idea sacrificare tutti per salvare tutti. Non vuoi vedere più sofferenze? Non fare figli! Vuoi debellare tutte le malattie e le sofferenze fisiche e mentali? Distruggi la Terra. Fare figli è ed è sempre stata una specie di moda, un vizio; come un bambino vuole il suo giocattolo a tutti i costi e non sa dire di no. Perché lo si deve fare per forza? Perché alla fine tutti lo vogliono fare? Perché non ragionano? Perché sentono soltanto la voce del loro istinto? Perché non pensano alle possibili conseguenze? Perché non razionalizzano su una cosa così importante dando sfogo soltanto alla loro felicità, allegria, istinto per appagare la loro subdola esigenza? Tanto se non lo facciamo nessuno potrà essere scontento che quel bambino non è stato fatto nascere, perché tanto non esisterà. Non viene uno spirito che ci dice fammi nascere perché voglio vivere. Noi continuiamo a procrearci senza fermarci mai, ma perché invece non avviene il contrario? Tutti i sentimenti, le sensazioni, le emozioni che ci hanno donato, in qualche modo, biologico, naturale, biochimico ci impongono di fare figli. È evidente che chi ci ha creato aveva l’obbiettivo di farci procreare, dandoci appunto sistemi di riproduzione e mezzi naturali, biologici, chimici quali i sentimenti e le emozioni con lo scopo di farci innamorare e quindi di avere figli. È come se stessimo facendo il suo gioco senza rendercene conto, è come se stessimo seguendo le sue regole senza saperlo. Noi facciamo un figlio e non sappiamo neanche perché lo facciamo perché annebbiati, sommersi, investiti, comandati, dai sentimenti e dalle emozioni. Anche se dico questo non penso però che siamo delle pedine, come molti filosofi sostengono, o comunque sia anche se lo siamo, questo sistema è così complesso che non ci da motivo di crederlo perché liberi da esseri superiori ma naturalmente schiavi di noi stessi. Poi è ancora troppo presto per trarre a delle conclusioni, chissà quanti altri millenni dovranno passare, so che ci evolviamo, ci superiamo, ci perfezioniamo, e questo le pedine non possono farlo. Ritornando ai figli, se noi facciamo un figlio siamo sicuri solamente che soffrirà per via del dualismo bene-male, giusto-ingiusto e saremo sicuri che probabilmente soffrirà molto per via di: patologie, ambiente, luogo di nascita, caratteri genetici, o probabilmente passerà la vita soffrendo meno di altri e sarà felice di vivere, o probabilmente non lo sarà affatto e magari si domanderà: ma perché mi avete fatto nascere? Io non ve lo ho chiesto e sto soffrendo per molte ragioni; io sto qua soltanto per appagare il vostro desiderio e divertimento di aver voluto fare a tutti i costi un figlio senza un vero motivo. Noi facciamo i figli solo ed esclusivamente per noi stessi, come tutto d’altronde: vogliamo appagare la nostra esigenza di svago e divertimento facendo un figlio, vogliamo trovare un senso alla nostra vita creandone un’altra. Fare un figlio è una condizionare necessaria alla nostra mente per trovare qualcosa per cui vivere ed essere appagati che non potremmo trovare in nessun altro modo. Un figlio vuol dire tante cose: far fare al figlio quello che tu non hai potuto o voluto fare, condividere la tua vita, le tue cose, la tua conoscenza ed esperienza con la persona più vicina a te (noi viviamo per gli altri e non per noi stessi ma a sua volta questo vivere per gli altri ci appaga e ci rende sereni), e per molti altri motivi. Ma non pensiamo che magari quel figlio che facciamo poi non sia felice che sia venuto al mondo, non pensiamo che la metà della nostra vita in media, secondo me, la passiamo soffrendo, non pensiamo a molte altre cose (dualismo). La vita umana è fatta di dualismo: bene-male, giustizia-ingiustizia ecc, e questo dualismo è la causa del male e non la sofferenza stessa. Se noi vivessimo in un mondo di solo sofferenza non ci sarebbe ragione per deprimerci per patologie fisiche e mentali, perché esisterebbe solo quello e noi non sapremmo, perché non esiste, che ci sta una non sofferenza e quindi vivremmo bene nella nostra sofferenza: non penseremmo a chi sta meglio e a chi sta peggio, non esisterebbe la sfortuna e la fortuna, e soprattutto saremmo tutti uguali e non dipendenti dal caso (famiglia, ambiente, luogo di nascita, genetica ed esperienza). Lo stesso vale per un mondo fatto di sola serenità e felicità. La mia idea di non procreare più o di distruggere la terra non è estrema o drastica, soltanto semplice, originale e risolutiva.

Siamo soli sulla terra?
Ebbene si. Siamo soli per il semplice fatto che non possiamo percepire sensazioni al di fuori delle nostre. Possiamo percepire emozioni, sentimenti, sensazioni nove, ma non possiamo condividerle realmente con altri e metterle a confronto. Ad esempio, se io non so cosa è lo stress o la depressione, potrò mai capire uno che le ha e stargli vicino e aiutarlo? E come faccio a capire se sono stressato o depresso? E se io sapessi cosa sono queste due cose, allora in quel caso potrei capirlo? La risposta è no in tutte e due le situazioni. Certo, nella seconda ipotesi sarei più cosciente della patologia che soffre chi mi sta vicino, e potrei capire le sensazioni di dolore di quella persona, ma soltanto virtualmente e non realmente. Lo stress può avere più livelli di sofferenza e risulterebbe più difficile comprendere la gravità della situazione, e comunque sia non riuscirei mai a capire, e quindi a percepire, il dolore della persona che mi sta vicino, se in quel preciso istante anche io non provassi quel suo stesso dolore in modo da rendermene davvero conto, e essere pienamente cosciente e consapevole, del dolore che sta provando quella persona, e sicuramente sarei molto più comprensibile, meno dubbioso, più disponibile, più fidato, più cosciente, ecc ecc. Se io dico di essere stressato come faccio a sapere se uno è più stressato di me? come faccio a distinguere le due cose e a sapere che cosa ho veramente? E poi rimane il dubbio, ma se io non posso provare lo stress, come posso capirlo a parole? Cioè, se esistesse un esempio di sensazione, che chiamiamo stress, e io potessi provarla a mio piacimento in qualsiasi momento della giornata, per rendermi conto di quello che si prova, allora in quel caso potrei realmente comprendere che cosa è lo stress. Quindi, io, come potrei riuscire mai a capire lo stress soltanto a parole? Non potrei mai. Magari molta gente dice di essere stressata, ma non sa neanche quello che sta dicendo, magari non lo è affatto, magari ha un’altra cosa, magari c’è gente molto più stressata di lei che è veramente stressata e lei non può rendersene conto perché non può provare quello che prova un’altra persona; quindi come faccio a sapere se sono stressato se non lo ho mai provato realmente? Se non esiste uno stress di riferimento che posso provare per capirlo davvero? Per questo l’essere umano è così complesso, perché non può entrare dentro altre persone, e quindi provare le sue sensazioni per capire a pieno che cosa prova e cosa fare per farlo sentire meglio. Se noi trovassimo il modo di percepire le emozioni, i sentimenti, le paure, le sensazioni e tutti gli stati emotivi umani delle altre persone nel momento stesso in cui essi le provano, allora si che capiremmo davvero tutto, allora si che non saremmo più soli a provare brutte o belle esperienze emotive, allora si che saremmo più consapevoli verso i sentimenti degli altri, allora si che saremmo più riconoscenti, più disponibili, meno dubbiosi, più comprensibili, e riusciremmo finalmente a capire tutte le sensazioni che prova l’uomo e potremmo parlare un linguaggio più comprensibile a tutti. Ho fatto l’esempio dello stress e della depressione perché mi sembrano due parole poco comprensibili e molto generiche. Lo stress e la depressione possono variare da persona a persona e per svariati motivi, non ce ne è uno univoco per tutti, e poi ognuno reagisce in maniera diversa alle circostanze che gli si presentano contro e alle sofferenze, e questo naturalmente perché abbiamo tutti un carattere, una personalità, un’esperienza, un io, un bagaglio genetico diverso da un’altro. Ora, però, proviamo a pensare a tutte le patologia fisiche e mentali, proviamo a pensare al dolore che si può provare se ci tagliano un braccio, o se ci amputano le gambe; potremmo provare sia il dolore fisico che quello psicologico della sedie a rotella e quindi della completa passività, proviamo a pensare al dolore di un parente o un amico a noi caro che viene a mancare, proviamo a pensare a patologie psichiatriche e neurologiche come la nevrosi, la psicosi, il morbo di parkinson, la sindrome di tourette, proviamo a pensare alla depressione derivata dalla solitudine, ecc ecc. Ecco, se noi avessimo la capacità di percepire queste cose a nostro piacimento o nel momento stesso in cui ne soffrono le persone vicine a noi, allora si che potremmo realmente capire a pieno le persone che conosciamo e l’intera umanità. Per concludere, rimarremo sempre soli con le nostre sofferenze, inquietudini, verità, felicità, fasi belle, fasi brutte, nella nostra terra, perché nessuno potrà mai comprenderci veramente, ma solo virtualmente, poiché incapaci di percepire sensazioni altrui, al di fuori delle nostre e contemporaneamente.



SIMONA8
00venerdì 12 settembre 2008 12:29
adesso non ho tempo però ho stampato tutto e nel pomeriggio da sola mi dedico alla lettura....
doraemon75
00sabato 13 settembre 2008 11:01
Benvenuto!
[SM=g8900] E' davvero piacevole leggere i tuoi scritti [SM=g11272] sono davvero interessanti!!!

I miei preferiti per ora sono: - Si soffre per davvero? - Siamo noi a comandare sulla vita o è la vita che comanda su di noi? Esiste il destino? - Siamo soli sulla terra?.

Spero di rileggerti presto.... [SM=g6276] [SM=g7554]

leyander1
00sabato 13 settembre 2008 16:23
Re: Benvenuto!
doraemon75, 13/09/2008 11.01:

[SM=g8900] E' davvero piacevole leggere i tuoi scritti [SM=g11272] sono davvero interessanti!!!

I miei preferiti per ora sono: - Si soffre per davvero? - Siamo noi a comandare sulla vita o è la vita che comanda su di noi? Esiste il destino? - Siamo soli sulla terra?.

Spero di rileggerti presto.... [SM=g6276] [SM=g7554]




grazie mille sono felice che vi piacciano, ve ne posterò qualcun'altro:)


Esiste il paradiso e l’inferno?
Sarebbe una cosa troppo ingiusta, e nel mondo terreno già ce ne sono troppe. Se davvero esiste un’ aldilà, io spero che sia una cosa equa per tutte le persone del mondo, se penso che quando nasciamo siamo tutti uguali e quando moriamo la cosa non cambia. Il percorso di vita è ciò che ci rende diversi, strani, buoni e cattivi. Buttare i cattivi all’inferno e i buoni in paradiso sarebbe soltanto un errore che può commettere un umano. Un buono si distingue dal cattivo soltanto dal fatto che è stato più fortunato di lui e che per cambiare strada deve compiere una maggiore fatica. Un esempio può essere: un bambino che nasce in un paese povero in una famiglia di persone non civilizzati che non insegna al proprio figlio l’educazione, il rispetto, una cultura, una formazione. Questo bambino in futuro si sentirà diverso dagli altri, in peggio, e inizierà la sua lotta contro tutte quelle persone, che al contrario di lui sono nate: in una famiglia benestante in un paese civilizzato che insegna al proprio figlio tutto ciò che serve per vivere in maniera giusta, corretta e civile. Non mi sembra una buona cosa che i buoni fortunati vadano in paradiso e i cattivi sfortunati vadano all’inferno, perché non esiste il buono e il cattivo. Mi piacerebbe pensare che a chi si è comportato malvagiamente, dargli una seconda opportunità, e a chi si è comportato benevolmente farlo diventare angelo custode di quella persona.

Che cos’è il tempo?
Tempo è una parola che come tutti i termini sono stati inventati per poter comunicare. Il tempo è uguale a evento, non esiste il tempo che scorre e va avanti nei secondi minuti, ore, settimane, mesi, anni, quelli li abbiamo inventati noi umani per convenienza, per darci una regola. Non si potrà mai tornare indietro con il tempo, semplicemente perché non esiste, sono gli eventi che andando avanti con la riproduzione umana portano nuove epoche, ma non è il tempo che passa, noi potremmo pure stabilire che una giornata è fatta da 48 ore, potremmo far passare un anno in 3 anni. Se parliamo da 10 minuti stiamo parlando in uno spazio che ha 3 dimensioni più una 4 che sono i 10 minuti che è il tempo. Einstein diceva che il tempo passa in modo diverso da un luogo all’altro dell’universo. Qual è il tempo vero? quello che viviamo noi sulla terra o quello che vivono degli extraterrestri su un’altra galassia, non c’è un tempo fisso per tutti, il tempo dipende dalla velocità con la quale noi ci spostiamo nell’universo. Noi il tempo non lo percepiamo, non lo sentiamo, non lo vediamo. Se davvero esistesse il tempo come quarta dimensione, allora esisterebbero infiniti passati, infiniti futuri e magari anche una fine e un inizio per il mondo e l’esistenza, potrebbe venire un terrestre dal futuro di 1 milione di anni in avanti, e allora gli eventi che stiamo vivendo noi del passato modificherebbero inevitabilmente quelli del futuro, però di quale futuro? Di quale passato? È un concetto impossibile, esisterebbero infiniti passati e futuri con infiniti tempi e senza un presente; quello del futuro ad esempio, dove avranno inventato la macchina del tempo, potrebbe cambiare l’evento delle cose, ma in quale tempo? di quale passato? Quindi non esisterebbe neanche un presente. È un concetto impensabile nella mente tridimensionale dell’uomo. L’unica maniera che abbiamo di pensare al futuro è quella di scoprire nuove dimensioni parallele alla nostra. Se esistono altre dimensioni, allora può esistere anche un futuro ed un passato distaccati dal nostro, ad esempio una dimensione dove sono 1000 anni più avanti di noi o una 1000 anni più indietro di noi e così via. Comunque sia, se esiste il nostro mondo con la nostra realtà e la nostra dimensione tridimensionale, perché non può esistere un altro mondo, un’altra realtà con altre dimensioni, altre menti, altri esseri? Mi piace credere a questo. Ad esempio una dimensione, dove se dai un pugno a vuoto, invece di vedere il braccio stendersi in avanti, lo vedrai proiettarsi da un’altra parte: dietro, sotto o sopra, dove vorrai tu. Altri tipi di dimensione li possiamo vedere nei quadri di Escher e di Picasso.


Finiranno le guerre, la povertà, le sofferenze?
La mia risposta è si. La prima cosa importante da dire è che: l’evoluzione ci prepara a cose inimmaginabili. Se analizziamo la situazione di oggi e la confrontiamo con quella di qualsiasi epoca passata, come ad esempio il medioevo, notiamo come l’uomo cambia in meglio e si evolve mentalmente. Nel medioevo si facevano più guerre e per motivi più futili, c’erano le torture e pene di morte, se pensavi e dicevi cose che andavano contro le idee di qualcuno ti uccidevano, non c’era il liberalismo e il libero arbitrio, ecc. Oggi tutto questo non c’è, o perlomeno è diminuito tutto e la qualità di vita è aumentata notevolmente. Nel medioevo l’uomo non aveva esperienza e idee a sufficienza per potersi immaginare le cose che oggi abbiamo: il computer, internet, l’aereo, i cellulari e tutte quelle cose hi-tech che abbiamo oggi. Con questo voglio dire che l’evoluzione ci prepara a cose inimmaginabili. Tutto ciò che noi pensiamo che non si avvererà mai, oppure non riusciamo proprio a pensare a quello che potrà avvenire, allora possiamo essere certi che si avvererà. Oggi, ad esempio, non potremmo mai immaginare cosa avverrà nel 3000. Tutto quello che possiamo immaginare sta nei film di fantascienza, e sono cose che sicuramente avverranno, ma essendo cose immaginabili, non fanno parte di quella preparazione che l’evoluzione ci sta portando, sono cose che avverranno nei secoli più prossimi a noi e non un millennio più avanti. Una cosa inimmaginabile può essere la scomparsa delle guerra e delle sofferenze. Oggi diremmo “ma è impossibile, è un’utopia”. Diciamo questo perché pensiamo che ci saranno sempre conflitti di interesse, però sbagliamo. Noi possiamo vedere soltanto il passato e il presente, ma non il futuro, vediamo un passato dove non c’è mai stata una stabilità, ma non pensiamo ai cambiamenti radicali che sono avvenuti con il tempo e che verranno, e che ci serviranno per giungere poi ad uno stadio ultimo. Tutte le guerre che sono avvenute e che si verificheranno non sono inutili, anzi, serviranno a noi, gente del futuro, per capire, comprendere meglio, qual è il giusto comportamento da avere. Noi, gente del presente e voi, gente del futuro (mi riferisco ad un futuro lettore) avremo sempre più esperienza di coloro che sono vissuti nel passato, prima di noi, perché siamo nati dopo. Oggi diciamo: ah! quei barbari, primitivi del medioevo che facevano queste cose. Ieri dicevano la stessa cosa le persone del medioevo a chi aveva vissuto in passato, prima di loro. Nel 3000 diranno: Ah! Quei primitivi del 2000 che facevano ancora le guerre per motivi di interesse. Loro non ne avranno più bisogno, perché l’esperienza del passato e l’evoluzione mentale li ha portati finalmente a trovare un giusto equilibrio e a capire la giusta via e la giusta conoscenza. È molto probabile però, che, finita l’era delle guerre, nascerà una nuova era di chissà quali altre atrocità: i robot ribelli, gli alieni, supremazia dell’universo da parte di altre forme di vita. Ma può anche essere di no, sto solo navigando nella fantasia. È servito, serve e servirà tutto nella storia e nell’esperienza dell’uomo, l’importante è che chi verrà dopo di noi, potrà riflettere, meditare su quello che noi, gente del passato abbiamo fatto.


Stimmate, Miracoli, Possessioni, Dio, Fede, Religione: che cosa sono? C’è un collegamento tra queste cose?
Cercherò di spiegarmi in 4 punti: 1) Innanzitutto mi domando come mai questi fenomeni, soprattutto le stimmate, avvengono nella stragrande maggioranza nei paesi con un alto tasso di religiosità, o in persone molto religiose con molta fede. La scienza può spiegarci le stimmate in mille modi, come ad esempio: la persona psicosomatica, quindi un fatto mentale, oppure che sono state procurate con un acido ecc. La voglia di stare più vicino a Dio, di essere notato da tutti e da lui, di essere una persona speciale, di avere anche tu quella cosa miracolosa, e per molti altri motivi, ti porta a procurarti le stimmate, o in maniera psicosomatica o tramite trucchetti di chimica. 2) Questi sono fenomeni che la scienza può spiegarci benissimo, anche se non del tutto, specialmente per i miracoli in campo medico, d’altronde siamo solo nel 2007 e la scienza fa ancora a pugni con molte cose, ce ne vorrà di tempo prima che arrivi alla perfezione e potrà spiegarci tutto, dobbiamo dargli tempo, dobbiamo farla crescere. 3) Per quanto riguarda le stimmate, non sono tanto diverse da quei fenomeni paranormali falsi come mani curatrici o mani magnetiche; sono entrambi fenomeni spiegabili con la scienza e miracolosamente fasulli, una miracolosità partorita dalla mente fantasiosa dell’uomo, che ha bisogno di credere sempre a qualcosa in più che possa accertargli l’esistenza di Dio. 4) Io non ho le stimmate e questo mi basta per non crederci, come anche è vero che non conosco Dio e questo mi basta per non crederci. Quindi quella parola fede io neanche la conosco, perché è oggettivamente, realisticamente, logicamente, razionalmente impossibile credere in una cosa che non esiste, per questo, secondo me, sono nate le stimmate e miracoli vari, perché appunto come ho detto prima se non abbiamo qualche prova concreta della sua esistenza non possiamo realmente avere fede e credere in Dio, e quindi ci inganniamo a vicenda con prove miracolose fasulle che ci dimostrano che quel Dio possa realmente vivere da qualche parte. Io invece penso e non credo, come già dissi in precedenza, che esiste qualcosa più grande di noi che ci ha creato. Ora però voglio un attimo contraddirmi e spiegare cosa è per me il significato della fede, di Dio, di credere in lui ecc ecc. Io non ho fede, ma ne ho sempre bisogno nei momenti critici, di solitudine, di malinconia, negli stati negativi della vita. Come mai? Sono stato condizionato? Probabilmente si, ma ho scoperto che la fede è sinonimo di speranza e non di credere realmente che esista un Dio. Quando sono solo, non posso chiedere aiuto a nessuno, non so con chi confidarmi, o non c’è nessuno che può aiutarmi, quando non ho speranze, allora entra in gioco la fede e diventa la mia unica speranza, la mia unica salvezza, posso chiedere aiuto a Dio, questo essere che ho manifestato nella mia mente allo scopo di aiutarmi. Lui riesce sempre a confortarmi, a darmi speranza, e a tirarmi su il morale. Io ho fede soltanto quando mi serve, ma non perché sono egoista, e realmente credo a Dio e voglio sempre il suo aiuto nel momento del bisogno, ma perché è un fatto mentale, psicologico che mi aiuta a stare meglio, tutto qua. Questo è per me Dio e la fede.

Fare del bene è un dovere? Perché lo facciamo?
Innanzitutto per capire se fare del bene è una cosa naturale o è una cosa derivata dal condizionamento, basta confrontarci con la natura animale e vegetale. Un animale aiuta un altro animale al fine reale di salvare un suo simile? Io dico di no, almeno in un ambito selvatico, come nella giungla, dove non esistono condizionamenti esterni sull’animale di nessun tipo, come può essere per gli animali domestici per colpa dell’uomo. Ora Pensiamo un attimo agli animali che vediamo tutti i giorni e ai documentari e a cosa c’è dietro al gesto umano di aiuto. Se io aiuto è perché ho dei sentimenti che mi legano ad altre persone, e gli animali sono sprovvisti di questi. Quali e cosa sono questi sentimenti che mi spingono, anche inconsciamente a commettere azioni, anche pericolose, quali aiutare il prossimo? Sono dei collegamenti, come l’amicizia e l’amore, tra due o più persone che ci portano a condizionarci a vicenda. Ritorniamo agli animali ora. Gli animali hanno questo collegamento? No. Ansi avvolte si uccidono fra di loro, o si abbandonano: ad esempio perché rallenti la marcia del branco, oppure invadi il territorio di un altro animale, o non sei ben accetto dal branco perché sei di troppo; avvolte si aiutano anche fra di loro, ma è per lo stesso motivo per il quale si uccidono anche, e cioè quello di sopravvivere; quindi niente sentimenti, niente aiuto verso il prossimo, niente buonismo, niente condizionamento. Come vediamo gli animali non hanno sentimenti, ma soltanto natura, istinto e obbligo per natura a sopravvivere e quindi a fare molte cose naturali che invece a noi, persone condizionate, sembrano crudeli e disumane. Un animale non vuole, ma deve! Quindi io non devo aiutare, ma voglio aiutare, e infatti se non aiuto un morente sono un animale. Noi ci sentiamo obbligati ad aiutare, per colpa dei condizionamenti che abbiamo incontrato durante il corso della nostra vita e della nostra esperienza, e anche perché vogliamo soddisfare l’esigenza di sentirci meglio, di stare meglio con noi e con il mondo, la quale dipende dalla nostra esperienza. Ad esempio ho visto, ho letto, ho sentito che bisogna fare del bene, che è giusto, che dobbiamo farlo, che quasi tutti lo fanno, che è un obbligo morale, e in fine la cosa più importante, che fa sentire meglio. In pratica mi sono fatto il lavaggio del cervello e ora sono convinto che fare del bene fa sentire meglio, quindi lo faccio non esclusivamente per aiutare l’altro, ma in realtà lo faccio per soddisfare una mia esigenza: quella di stare meglio con me stesso e con gli altri. Tante cose ci impongono di fare del bene, la società, la famiglia, gli altri, e in fine anche noi, perché condizionati da quest’ultimi. Se non facciamo del bene ci sentiamo male perché veniamo emarginati, allontanati, isolati e tante altre cose brutte, e questo ci preoccupa, ci spaventa, quindi un’altro motivo in più per fare del bene, un’altro condizionamento. Ora voglio lasciare da parte la realtà oggettiva, concreta, logica e cercherò di spiegare la visione della realtà come se vista da uno spettatore che osserva o come un critico che giudica un film; come un persona che guarda una proiezione al cinema, io guardo la vita come se fossi davanti un grande schermo, ed esporrò, quindi, la mia filosofia sul fatto di aiutare, che è indipendente dalla natura, dal buon senso, dalla morale, dal condizionamento; è soltanto un punto di vista, che può essere oggettivo per me o soggettivo per altri. Come non posso ritornare al mio amato senso: che senso ha aiutare? Una persona può aiutare tantissime persone, ma ce ne saranno sempre tante altre che non potranno essere aiutate, quindi perché aiutare delle persone a non soffrire, quando sappiamo che molte altre in un qualsiasi posto della terra stanno soffrendo? Questo può significare soltanto che noi non aiutiamo per il fine stesso di aiutare, ma per le cose che ho detto prima, quindi stare in pace con noi stessi e con gli altri evitando spiacevoli conseguenze quali l’isolamento, l’emarginazione, la solitudine, l’incomprensione ecc. Il sapere che ad ogni vita salvata, aiutata, ce ne sono molte altre che non possiamo salvare o aiutare, non ci sconforta? Non ci fa riflettere sul fatto che se anche non aiutiamo non cambia proprio nulla? Siamo qualcosa come 6 miliardi di esseri umani, e ogni giorno soffrono milioni di persone che non possiamo aiutare, quindi, come gli animali, potremmo anche non aiutare, non è un obbligo, non è un dovere, non rischiamo l’estinzione della razza umana. Io direi di si, queste cose ci sconfortano e ci dicono proprio “ ma che lo stai aiutando a fa?” ma infatti noi non aiutiamo per salvare, non far soffrire il prossimo, ma, beh, la risposta credo di averla data prima, ovvero lo facciamo allo scopo di soddisfare il nostro bisogno, derivato da condizionamenti, di stare meglio con noi e con gli altri. Il fine ultimo di aiutare non può essere davvero di aiutare realmente un’altra persona a non soffrire, un motivo lo ho detto prima, altri sono: 1) perché se non la conosciamo, non proviamo sentimento e quindi senza sentimento non si può parlare di aiuto vero ai fini di salvare quella persona, 2) perché non possiamo provare la sofferenza di quella persona e non riusciremmo a renderci conto di quanto sta soffrendo, possiamo solo immaginarlo che è molto diverso dal provarlo, e quindi se non la possiamo capire a pieno, un motivo in più per non avere voglia di aiutare quella persona. In mancanza di uno stimolo che può farci provare la sofferenza di quella persona, perdiamo anche la voglia di aiutarla, almeno in parte, in teoria, secondo me, o se quella sofferenza non la abbiamo già provata in maniera molto intensa che se la vediamo ci aiuta a ricordarla. 3) perché se volessimo davvero aiutare l’altro, per non farlo soffrire, non ci limiteremmo ad alcune persone, lo faremmo per tutte le persone del mondo, in maniera da non poter vedere più sofferenza. Tutti questi motivo mi spingono a credere che aiutiamo per soddisfare noi e non per aiutare gli altri. Alla fine se non ci fossero tutti questi motivi, se non fossimo condizionati dall’esterno, se non avessimo l’intelligenza, ci comporteremmo come gli animali, quindi non aiuteremmo mai nessuno.








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